Il continente africano è ricco di siti, sia di carattere naturale sia culturale, che sono considerati patrimonio mondiale; e moltissimi di questi si trovano in zone costiere, oppure su isole e atolli. Questo significa che il loro futuro è a rischio: l'aumento delle temperature causerà nei prossimi anni un innalzamento del livello dei mari, e più della metà dei siti africani rischia, per farla breve, di finire sott'acqua.
Quasi trecento. Lo dice uno studio pubblicato su Nature Climate Change, nel quale un team guidato da Michalis Vousdoukas, del Joint Research Center della Commissione Europea, ha identificato quasi 300 siti di interesse e calcolato quanti di questi rischiano di scomparire nei prossimi decenni a causa dei cambiamenti climatici.
I siti identificati dal team non vanno confusi con quelli identificati dall'UNESCO: l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura ha designato come patrimonio mondiale un totale di 147 siti in tutto il continente africano, la maggior parte dei quali di carattere culturale, mentre il nuovo studio ne ha individuati 284 – 213 di carattere naturale e 71 di carattere culturale, tutti presenti esclusivamente sulle coste del continente (se volete vedere dove si trovano andate qui). Si va quindi da zone archeologiche (il nord del Sinai, le rovine di Tipasa in Algeria) a luoghi come l'isola di Kunta Kinteh o l'atollo corallino di Aldabra, il secondo più grande del mondo.
A confronto. Tutti questi siti sono stati confrontati con due modelli climatici usati dall'IPCC: il cosiddetto "scenario intermedio", nel quale le emissioni di gas serra raggiungono un apice nel 2040 per poi cominciare a declinare e dimezzarsi entro il 2050, e lo scenario peggiore possibile, quello nel quale le emissioni continuano indisturbate ai livelli attuali fino alla fine del secolo.
I risultati non sono confortanti. Al momento ci sono già 56 siti su 284 che rischiano di venire colpiti da un "1-in-a-100-year event", un evento talmente estremo (in questo caso un'inondazione di portata molto superiore alla media) che se ne verifica uno ogni 100 anni. La "catastrofe centenaria" è un riferimento importante quando si parla di cambiamenti climatici: secondo lo studio, nel 2050, indipendentemente dallo scenario utilizzato, i siti che rischiano di venire colpiti da eventi di questo tipo saliranno a 191, di cui 151 naturali. E alcuni Paesi, tra cui il Camerun, la Libia e il Mozambico, hanno già la certezza di subire almeno un'inondazione estrema entro la fine del 2100; e se la situazione delle emissioni non dovesse migliorare, a loro se ne aggiungeranno altri (Costa d'Avorio, Tanzania, Sudan, Capo Verde).
Che fare? Inutile dire che eventi di questo tipo rischiano di danneggiare irreparabilmente, o addirittura di spazzare via, i siti che colpiranno: se l'umanità dovesse finalmente invertire la rotta e diventare virtuosa in termini di emissioni, il numero di candidati alla distruzione scenderà del 25%. Lo 0%, però, è un sogno irrealizzabile: ecco perché identificare quali siano i siti più a rischio è importante anche per poter realizzare opere di prevenzione e mitigazione del danno.