Ecologia

Il krill digerisce le microplastiche (ma non è detto sia una buona notizia)

I minuscoli crostacei scompongono i frammenti di plastica abbandonata in mare in pezzi ancora più piccoli. Più difficili da monitorare, ma non per questo non inquinanti.

Il krill - l'insieme di piccoli crostacei particolarmente abbondanti nei mari freddi, che costituiscono il cibo primario di molti pesci e mammiferi marini - può scomporre le microplastiche presenti negli oceani in pezzetti ancora più piccoli. "Una buona notizia", si potrebbe pensare: e invece no, perché i nano frammenti che così si ricavano non spariscono, ma finiscono nell'alimentazione di organismi ancora più piccoli, diventando, nella migliore delle ipotesi, impossibili da rintracciare.

Demolitori implacabili. Lo studio pubblicato venerdì 9 marzo su Nature Communications riguarda, in particolare, il krill antartico Euphausia superba, la specie più abbondante sul pianeta, che in alcune aree marine può raggiungere la concentrazione di 30.000 individui per metro cubo d'acqua.

micrometro
Il micrometro (µm) è un'unità di misura della lunghezza: corrisponde a 1 milionesimo di metro (1 millesimo di millimetro). In passato era usato il termine micron (µ).

In condizioni di laboratorio i piccoli crostacei sono riusciti a scomporre sfere di polietilene di 31,5 micrometri di diametro in frammenti di meno di 1 micrometro. Se funziona così in laboratorio, su campioni di plastica "nuovi", a maggior ragione succede nei mari, dove le microplastiche sono state in parte già degradate dai raggi UV e dai sistemi digerenti di altri animali.

I frammenti digeriti erano in genere il 78% più piccoli di quelli originali (a volte anche di più). Purtroppo però questo lavoro di scomposizione non sembra migliorare l'enorme problema della plastica nei mari. Se da un lato i frammenti non sembrano accumularsi a lungo nel corpo dei gamberetti che compongono il krill, la loro riduzione in pezzi più piccoli ne facilita l'assunzione da parte di animali di dimensioni inferiori.

krill antartico, microplastiche
Una "nuvola" di krill antartico. © Shutterstock

Omogeneizzato di plastica. Il termine microplastica indica frammenti di meno di 5 mm di diametro. Il krill, i cui organismi non superano i 5 cm di lunghezza, non riesce a scomporre nulla di dimensioni maggiori di 2 mm di diametro, e il prodotto della sua digestione potrebbe costituire, per gli scienziati, un nuovo e più immediato nutrimento per organismi oceanici profondi ancora più piccoli.

Lo scorso dicembre, uno studio della Newcastle University (UK) aveva trovato microplastiche nello stomaco di creature oceaniche della Fossa delle Marianne, a 11 km di profondità.

Le plastiche scomposte dal krill sono frammenti predigeriti da altri animali: «Non sono certo capaci di mangiare una bottiglia di plastica», spiega Amanda Dawson, ricercatrice della Griffith University (Australia), primo autore dello studio. Non è invece chiaro se l'appetito di questi crostacei riguardi anche le microplastiche fibrose delle reti da pesca o delle fibre tessili, che costituiscono la maggior parte dei polimeri che questi crostacei incontrano. «Si può presumere che anche altri crostacei planctonici facciano altrettanto, ma non l'abbiamo ancora riscontrato in studi di laboratorio.

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13 marzo 2018 Elisabetta Intini
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