Nel 1987, in Canada, venne firmato il protocollo di Montreal, che metteva uno stop all'uso dei cosiddetti clorofluorocarburi, sostanze chimiche che, rilasciate in atmosfera, danneggiavano lo strato protettivo di ozono che ricopre il pianeta – creando l'arcinoto "buco nell'ozono". Da allora, in un rarissimo caso di successo globale nella lotta all'inquinamento, il buco è andato restringendosi sempre più, pur senza scomparire del tutto: ogni anno, intorno a settembre, si riapre, per richiudersi poi verso il mese di dicembre. Almeno così è andata fino al 2021: da allora, dice uno studio pubblicato su Global Change Biology, il buco nell'ozono ha ricominciato a creare problemi, non allargandosi ma durando sempre più a lungo, arrivando a chiudersi oltre la metà di dicembre. E questo fatto potrebbe avere conseguenze gravi soprattutto sulle regioni antartiche.
I danni degli UV. Il mese di dicembre in Antartide è piena estate, ed è l'inizio del periodo di fioritura delle piante che crescono sulle coste del continente, oltre alla stagione di accoppiamento di pinguini e foche. Negli ultimi 25 anni, questo periodo è stato "tranquillo" per flora e fauna antartiche, perché arrivava quando il buco nell'ozono si era già richiuso per la stagione. Come detto, però, dal 2021 il periodo di apertura si è allungato: questo significa che piante e animali sono sottoposti a una "pioggia" di raggi ultravioletti che, in assenza di ozono a bloccarli, arrivano direttamente al suolo. Un problema che si presenta anche tra settembre e novembre, ovviamente, quando però l'ecosistema è ancora protetto dalla neve. Negli ultimi quattro anni, una serie di eventi eccezionali (gli incendi in Australia, l'eruzione sottomarina a Tonga) ha però rallentato la chiusura del buco e accelerato lo scioglimento delle nevi, costringendo l'ecosistema a subire l'influsso degli UV senza alcuna protezione.
Solo una fase passeggera? Più raggi UV significa più rischi per la salute, visto che sono potenzialmente cancerogeni e possono causare cataratta. Per foche e pinguini adulti non è un problema, visto che sono protetti da uno strato di pelliccia o piume; ma per i loro cuccioli, che non hanno ancora sviluppato questa protezione, potrebbe diventarlo. Lo stesso vale per le piante, che in caso di necessità sono in grado di produrre uno strato protettivo – che però ne rallenta se non addirittura blocca la crescita. C'è infine il problema degli animali marini: senza il ghiaccio che ricopre la superficie dell'oceano, i raggi UV possono penetrare sott'acqua e rendere difficile la vita al krill e al fitoplancton.
Lo studio mette in evidenza come non ci siano ancora, in realtà, prove dirette dei danni subiti da animali e piante a causa dell'allungamento del periodo di apertura del buco; né sappiamo se si tratta di un momento particolare o se il fenomeno continuerà a verificarsi nei prossimi anni. Sappiamo però che potrebbe creare grossi problemi agli ecosistemi, e va quindi tenuto d'occhio.