La spedizione è diretta verso canyon inesplorati. Non immaginatevi i paesaggi del Far West, però: i canyon in questione sono sott'acqua, davanti alla costa sudoccidentale dell'Australia. «Uno di questi è lungo 90 chilometri: è una spaccatura che scende da 120 fino a 3.500 metri di profondità. E noi vogliamo riuscire a studiare questi habitat e a vedere chi ci vive, facendo arrivare in profondità un robot sottomarino». A parlare è Paolo Montagna, dell'Istituto di Scienze Polari del Cnr: il 26 gennaio, lui e gli altri scienziati a bordo della nave di ricerca Falkor, dello Schmidt Ocean Institute, istituto di ricerche oceanografiche Usa, salperanno dal porto australiano di Albany. E, in un mese, esploreranno un sistema di canyon sottomarini (il principale è il Bremer canyon, appunto lungo 90 km).


ESPLORAZIONE IN DIRETTA. «Ci aspettiamo di scoprire forme di vita nuove, grazie al Rov, il veicolo sottomarino che viene pilotato dalla nave», aggiunge Marco Taviani, dell'Istituto di Scienze Marine del Cnr, che con Montagna è tra i quattro ricercatori italiani che partecipano alla spedizione. Nessun Rov, finora, è mai sceso in questi canyon. Il primo sarà SuBastian, il Rov dello Schmidt Ocean Institute: un veicolo sottomarino pesante 3.200 kg, lungo 2,7 m e largo 2,2 m, capace di scendere fino a 4.500 metri di profondità. Collegato con un cavo alla nave, è equipaggiato con telecamere, bracci manipolatori, sensori, strumenti vari. «Ci permetterà di esplorare i fondali e di prendere campioni. Inoltre, non solo noi sulla nave potremo vedere ciò che il robot inquadra, ma sarà possibile per tutti guardare le stesse immagini in diretta sul web», dice Taviani.
Oltre a scoprire nuove specie, la missione punta a studiare i coralli di profondità, quelli che vivono tra 100 e 4.000 metri. Questi "coralli del buio" sono piuttosto diversi da quelli a cui siamo abituati. «Sono bianchi, e invece di crescere insieme formando barriere sono solitari», spiega ancora Taviani.


CORALLI NEL PROFONDO. Gli scienziati vogliono raccogliere coralli viventi e fossili, che sono veri archivi del mare: nella loro crescita, infatti, i coralli incorporano nello scheletro dei segnali chimici collegati a parametri come la temperatura, la salinità o l'acidità dell'acqua. «L'analisi degli scheletri di carbonato di calcio ci permette quindi di ricostruire quali erano le condizioni dell'oceano quando si sono formati (hanno bande di accrescimento, come gli anelli degli alberi). Grazie agli esemplari fossili, possiamo risalire alle variazioni chimico-fisiche dei mari del passato: per esempio, con quelli raccolti in una precedente spedizione nel canyon di Perth, sempre in Australia, siamo risaliti fino a 20.000 anni fa.
Le informazioni ci servono per rendere più accurate le previsioni della situazione futura», chiarisce Montagna. «Inoltre questi coralli di profondità crescono in acque acide, che di norma impediscono la formazione del carbonato di calcio di cui sono costituiti gli scheletri dei coralli e le conchiglie di altri animali. Vogliamo capire meglio come riescono a effettuare comunque la calcificazione». Un punto chiave, visto che l'assorbimento di anidride carbonica dell'atmosfera da parte delle acque sta provocando un'acidificazione degli oceani.
Inoltre, la zona da esplorare è un hotspot di biodiversità. «Qui risalgono acque profonde provenienti dall'Antartide, ricche di nutrienti», conclude Taviani.«Di conseguenza nell'area convergono molti animali, come balene e orche».
Qui sotto l'intervista che abbiamo fatto a Taviani durante l'edizione 2019 di Focus Live