Con l'invasione dell'Ucraina, l'esercito russo non sta solamente affamando gli abitanti delle città sotto assedio. L'occupazione del Paese, che insieme alla Russia è tra i cinque principali produttori mondiali di grano, è destinata ad aggravare la malnutrizione in altre regioni del mondo, anche molto distanti, in un effetto domino di proporzioni globali. Tutto questo avviene in un sistema alimentare fortemente interconnesso, dipendente da poche risorse a rischio estinzione, ancora non riemerso dalla pandemia e già sofferente per le conseguenze dei cambiamenti climatici causati dall'uomo.
Triste precedente. Ucraina e Russia sono responsabili del 12% delle calorie globali scambiate con il commercio alimentare. La maggior parte di esse proviene dal grano: i due Paesi ne coltivano ed esportano il 30% di tutto quello consumato al mondo. L'attacco all'Ucraina e le successive sanzioni alla Russia hanno fatto schizzare i prezzi del grano ai livelli più alti da 2010: è una pessima notizia che avrà conseguenze non solo nell'immediato.
Dodici anni fa gli effetti dei cambiamenti climatici avevano colpito duramente alcuni grandi produttori di grano, come l'Australia, l'Ucraina e gli USA, e questo, insieme ad altri fattori, aveva provocato il forte aumento dei prezzi che fu poi l'origine delle tensioni sociali sfociate nei moti per il pane in Medio Oriente, nelle proteste della Primavera Araba e, alla lunga, nella guerra in Siria.
Paesi come il Camerun, la Repubblica Democratica del Congo, la Libia, la Nigeria, il Sudan e lo Yemen sono fortemente dipendenti dai cereali acquistati da Ucraina e Russia; l'Egitto deriva oltre la metà delle calorie nazionali importate da questi due Paesi. Ma i contraccolpi economici di questa crisi si faranno sentire - attraverso i rincari - anche sulle economie più solide, che proveranno, all'inizio, a diversificare il mercato e acquistare altrove: da Russia e Ucraina provengono anche il 30% dell'orzo mondiale, spesso usato per i mangimi animali; e la Russia produce da sola il 15% dei fertilizzanti usati in agricoltura.
Questo shock piomba su un sistema alimentare globale che, stando all'ultima fotografia del Sesto rapporto di valutazione dell'Intergovernmental Panel on Climate Change, sente già gli scossoni della crisi climatica.
Meno cibo, già ora. Le alte temperature stanno già peggiorando la qualità e la resa degli ecosistemi che ci sfamano, cioè le terre coltivate e i mari (qui il capitolo dedicato alla sicurezza alimentare). L'effetto è particolarmente visibile nelle regioni del sud del mondo e in quelle equatoriali, minimamente responsabili delle emissioni dannose eppure gravemente colpite dalle conseguenze dell'aumento di gas serra.
Non dobbiamo pensare soltanto a eventi climatici estremi (come siccità o gelate fuori stagione) che distruggono i raccolti. Siamo anche di fronte a danni più silenziosi, costanti e definitivi: lo stesso eccesso di CO2 fa crescere più rapidamente i raccolti li priva di vitamine e minerali essenziali. Intanto, lo stress termico ha già ridotto del 5,3% le rese dei raccolti globali di mais, grano e riso, dal 1961 ad oggi, e per ogni grado aggiuntivo di riscaldamento globale rispetto agli 1,1 °C attuali si attende un'ulteriore riduzione del 10-25%. In Africa occidentale è accaduto lo stesso con le coltivazioni di miglio e sorgo (meno 10% e meno 5%, rispettivamente), alla base dell'alimentazione locale.
Secondo il rapporto inoltre, il 30% delle terre coltivate o adibite a pascolo nel mondo potrebbe diventare improduttivo entro fine secolo, perché troppo arido e asciutto e ormai privato dello strato più esterno di suolo, quello a più alta concentrazione di materiale organico, dove avviene la maggior parte delle attività biologiche.
Oceani meno produttivi. Non va meglio nei mari: il riscaldamento degli oceani è responsabile del collasso delle popolazioni di pesci e degli ecosistemi acquatici più ricchi di biodiversità, come le barriere coralline. Dal 1930 al 2010 la quantità di pescato estraibile dai mari in modo sostenibile si è ridotta del 4,1% (nel frattempo, il numero di bocche terrestri da sfamare è triplicato). Le morie di animali acquatici sono probabilmente raddoppiate negli ultimi 30 anni e potrebbero aumentare di quattro volte la frequenza in futuro, anche se ridurremo le emissioni dannose - dato che l'anidride carbonica rimane in atmosfera per centinaia di anni.