Il Great Pacific Garbage Patch, l'isola di rifiuti plastica nel mezzo del Pacifico, grande quasi sei volte la Gran Bretagna, ospita un'abbondanza di specie marine galleggianti paragonabile a quella dei più importanti hotspot di biodiversità oceanici, come il Mar dei Sargassi. Per la verità sulla chiazza di rifiuti galleggianti divenuta simbolo dell'Antropocene erano già state di recente trovate comunità di organismi neopelagici, cioè tipici delle acque costiere; ma ora uno studio pubblicato sul server BioRxiv si concentra su una particolare tipologia di ospiti dell'isola di plastica: il neuston, cioè l'insieme di creature che vive al confine tra la superficie dell'acqua e l'aria.
Sospinti dalle correnti. Questi organismi sono spesso incapaci di controllare i propri movimenti e sono quindi in balìa delle stesse forze oceaniche che spostano i rifiuti galleggianti finiti in mare. Finiscono così per concentrarsi nelle medesime porzioni di oceano, dove si accumulano le isole di plastica - in regioni di mare calme e stazionarie al centro dei vortici (le grandi correnti marine circolari). Più le plastiche da colonizzare sono abbondanti, più alto è il numero di specie che le popola: e infatti, soprattutto nella parte più interna della grande isola di plastica, sono state trovate grandi quantità di meduse, lumache di mare, nudibranchi, avannotti di varie specie di pesci ed altre affascinanti creature oceaniche.


Nuotare nella spazzatura. Ma non è finita qui: la densità di neuston sull'isola di plastica del Pacifico è tra le più elevate mai osservate nei mari. Gli autori dello studio sono arrivati a questa conclusione analizzando i campioni prelevati durante una spedizione a vela di 80 giorni attraverso il Great Pacific garbage patch, nell'estate 2019: una traversata ribattezzata The Vortex Swim, perché l'architetto e attivista francese Ben Lecomte l'ha compiuta a nuoto.
Cibo per altri animali. Come spiega su Twitter l'ecologa Rebecca Helm (Università della North Carolina e dello Smithsonian), tra gli autori della ricerca, il neuston costituisce il cibo primario di diverse specie d'aria e di acqua, dagli albatross ai salmoni alle tartarughe marine, le stesse creature che nel tentativo di pescare piccoli molluschi e giovani pesci finiscono per ingoiare la plastica. L'abbondanza di vita sulle, e attorno alle isole di plastica rende questi cumuli di spazzatura paragonabili a prati pieni di rifiuti: da un lato sono la vergogna degli esseri umani, dall'altro sono habitat da cui dipende una fetta significativa della catena alimentare marina.
Dalla padella nella brace. Secondo Helm, i progetti che - con le migliori intenzioni - prevedono di ripulire i mari dalla plastica rastrellando i rifiuti marini, come The Ocean Cleanup, finiscono per raccogliere e annientare anche gli organismi animali che in quegli ecosistemi hanno messo radici: è come se passassimo in quei prati con un bulldozer.
Pensarci prima. Che cosa dovremmo fare, quindi? Rinunciare a ripulire i mari dalla plastica? Una soluzione non c'è, se non a monte: bisogna evitare di inquinare i mari con la plastica da principio, perché una volta liberata essa scatena un'invasione biologica dalla quale non è possibile tornare indietro. E poi, potremmo studiare: l'ignoranza umana sulle conseguenze del nostro agire sull'ambiente è pari soltanto alla montagna di plastica che continua a soffocare i mari.