Uno studio dell'Università del Texas getta nuove ombre sul glifosato, l'erbicida più comunemente usato in agricoltura, nel giardinaggio e nella manutenzione del verde.
In base alla ricerca, pubblicata su PNAS, questa sostanza annienterebbe alcune delle specie di batteri che popolano l'intestino delle api e che, come avviene per l'uomo, le proteggono dalle infezioni. Gli insetti privati di parte delle loro difese naturali sarebbero dunque più esposti a microrganismi letali: non sarebbe dunque un danno diretto, come quello causato dai pesticidi neonicotinoidi, ma un'azione più subdola e difficile da osservare.
Sorvegliato speciale. Il glifosato è un diserbante non selettivo, che elimina indistintamente ogni pianta infestante: il danno più evidente che reca alle api è la distruzione dei fiori selvatici di cui esse si nutrono. Finora si credeva che inibisse soltanto un enzima necessario alla sopravvivenza delle piante che si intende eliminare; sulla sua tossicità per animali ed esseri umani è invece in corso un dibattito acceso, con l'Organizzazione Mondiale della Sanità che lo ha inserito tra le sostanze probabilmente cancerogene e l'EFSA, l'Autorità europea per la sicurezza alimentare, che ne dà un giudizio più rassicurante.
Impoverite. I ricercatori hanno esposto alcune api mellifere a livelli di glifosato analoghi a quelli usati nei campi, nei cortili e a bordo strada, dopo aver colorato il dorso degli insetti per poterli riconoscere. Tre giorni dopo hanno esaminato il loro microbiota intestinale: quattro delle otto specie di batteri "buoni" dominanti nelle api sane risultavano meno abbondanti. Una in particolare, la Snodgrassella alvi, è cruciale per la digestione del cibo e la difesa dai patogeni.
Le api private di parte dei batteri sono risultate più fragili di fronte all'infezione di un patogeno opportunistico che attacca questi insetti in tutto il mondo, il Serratia marcescens. La metà delle api sane era ancora viva a otto giorni dall'infezione, mentre solo un decimo di quelle esposte a glifosato è sopravvissuta. Secondo gli autori dello studio, occorrono linee guida più stringenti per evitare o quantomeno limitare l'uso del glifosato sui fiori solitamente visitati dalle api.
Minacciate da più fronti. La sostanza si aggiunge all'elenco dei fattori che contribuiscono alla sindrome dello spopolamento degli alveari (colony collapse disorder), il declino nelle popolazioni di api osservato in questi anni in Europa, in America del nord e in altre parti del mondo, attribuito in particolare ad alcune classi di pesticidi - ma anche all'uso di antibiotici, alla perdita di habitat e, appunto, alle infezioni batteriche.
Ora inizia a delinearsi anche il contributo dell'erbicida, talmente diffuso ed economico che si calcola che dalla sua introduzione, nel 1974, ne siano state spruzzate sui campi di tutto il mondo quasi 9 milioni e mezzo di tonnellate.
Nel 2017, l'Unione Europea ha rinnovato per cinque anni l'autorizzazione all'uso di questa sostanza, che in diversi Paesi, come l'Italia, è comunque utilizzata con cautela e diverse restrizioni.