La Giornata mondiale della biodiversità (International Day for Biological Diversity) che si celebra ogni anno il 22 maggio, è allo stesso tempo un invito alla riflessione sulle nostre mancanze nei confronti dell'ambiente e sulla possibilità per l'uomo di essere la molla di un profondo cambiamento. Abbiamo sviluppato le tecnologie più avanzate, eppure dipendiamo ancora totalmente dalla natura per bere, mangiare, mantenerci in salute, produrre forme di energia pulita e costruire modelli di sviluppo davvero sostenibili. La biodiversità è il fondamento di tutto questo, e proprio per commemorare l'adozione della Convenzione per la Diversità Biologica, avvenuta il 22 maggio 1992, questa data è stata proclamata dalle Nazioni Unite Giornata mondiale della biodiversità.
Una strategia da ripensare. La Convenzione per la Diversità Biologica è, come spiega il sito dell'ISPRA, l'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, "un trattato internazionale giuridicamente vincolante con tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall'utilizzo delle risorse genetiche". Negli ultimi 20 anni, gli sforzi messi in campo per contrastare la perdita della biodiversità sono andati a vuoto, per due volte consecutive (ne abbiamo scritto più diffusamente qui).
Obiettivi a rischio. Questo parziale fallimento minaccia di erodere i progressi di almeno otto degli Obiettivi per lo sviluppo sostenibile dell'Agenda 2030: la tutela della biodiversità è infatti requisito necessario per la sicurezza alimentare, la salute, la salvaguardia degli ecosistemi oceanici e terrestri, il contrasto alla crisi climatica, la riduzione delle disuguaglianze e lo sviluppo di lavoro dignitoso, il mantenimento della pace e della coesione sociale. Il tema della Giornata mondiale della biodiversità 2021 è "We're part of the solution", siamo parte della soluzione, a ricordare che poiché siamo spesso gli attori della degradazione della natura, possiamo essere allo stesso tempo anche la leva che cambia le cose.
Scomparsa rapidissima. Due studi scientifici usciti proprio in questi giorni ricordano con chiarezza le nostre responsabilità e mostrano la profondità e la velocità delle trasformazioni che l'uomo imprime sul pianeta. In base a un lavoro pubblicato su Communications Earth & Environment, l'attuale ritmo di perdita delle specie è senza precedenti, e non è mai stato raggiunto neanche durante i passati eventi di estinzione. La velocità di declino della biodiversità negli ecosistemi di acqua dolce avanza a un passo superiore rispetto a quella di fine Cretaceo, che cancellò i dinosauri insieme al 76% di tutte le specie del Pianeta.
Thomas A. Neubauer, paleobiologo della Justus Liebig University Giessen (Germania) ha guidato un team internazionale che ha messo a confronto gli effetti della quinta estinzione, 66 milioni di anni fa, con gli esiti della sesta estinzione in corso, focalizzandosi in particolare sul biota d'acqua dolce, tra i più minacciati al mondo. Gli scienziati hanno raccolto i dati su 3.387 specie fossili e viventi di lumache vissute in Europa negli ultimi 200 milioni di anni, e hanno stimato la velocità di speciazione (il processo evolutivo grazie al quale si formano nuove specie da quelle preesistenti) nonché di estinzione, per capire a che ritmo ciascuna specie compariva e scompariva.
La velocità di estinzione della quinta estinzione di massa è di gran lunga superata da quella prevista come effetto della sesta estinzione: il ritmo di scomparsa di specie ipotizzato per il futuro è di tre ordini di grandezza superiore a quello dell'epoca della scomparsa dei dinosauri, ed entro il 2120 potrebbe portare alla perdita di un terzo di tutte le specie d'acqua dolce. Per riparare al danno inflitto in pochi decenni dagli umani agli ecosistemi attraverso l'inquinamento, il sovrasfruttamento degli habitat, il trasferimento di specie aliene invasive e i cambiamenti climatici, occorreranno milioni di anni.
Agenti di cambiamento. Un secondo studio pubblicato su Science suggerisce che il tasso di alterazione degli ecosistemi sia stato, nelle ultime migliaia di anni, molto più rapido di qualunque altra trasformazione avvenuta dalla fine dell'ultima era glaciale ad oggi. Il lavoro, che si basa sull'analisi di 1.100 campioni di pollini conservati nel Neotoma Paleoecology Database (un archivio open access) provenienti da tutti i continenti tranne l'Antartide, mostra che dalla fine dell'ultima era glaciale, 18.000 anni fa, si è verificato un iniziale picco di cambiamento della vegetazione, tra 16.000 e 8000 anni fa, dovuto a fattori come il ritiro dei ghiacciai, l'alterazione degli oceani e della circolazione atmosferica, seguito da un stabilizzazione di alcune migliaia di anni durata fino a circa 4000 anni fa.
Da quel momento, tuttavia, la rapidità di mutazione della vegetazione è di gran lunga aumentata rispetto al periodo precedente, con una crescita vertiginosa che non si è mai fermata e continua tutt'ora. Il motore iniziale di questa trasformazione è stato inizialmente la diffusione dell'agricoltura e delle prime grandi comunità urbane organizzate, ma se un tempo, i periodi di trasformazione ecosistemica erano legati o al clima o all'utilizzo del suolo, separatamente, ai giorni nostri queste due cause si verificano contemporaneamente.
Oggi siamo al culmine dello sfruttamento di suolo dovuto alle pratiche di agricoltura intensiva, mentre il mondo si sta scaldando per l'accumulo di gas serra causato dall'attività umana.