L'istituzione di aree marine protette non alleggerisce le reti dei pescatori: uno studio che ha valutato l'impatto sulla pesca commerciale del Parque Nacional Revillagigedo, la più grande area marina integralmente protetta del Nord America inaugurata nel 2017, dimostra che tutelare vaste porzioni degli oceani dalle attività umane non è incompatibile con la necessità di sfamare una popolazione terrestre in crescita. La ricerca, perfetta per celebrare la Giornata mondiale degli Oceani di oggi, 8 giugno, è stata pubblicata su Science Advances.
Scrigno di biodiversità. La gigantesca area marina protetta al centro dello studio è una distesa 147.000 km quadrati di Oceano Pacifico a ovest del Messico e attorno alle isole vulcaniche di Revillagigedo. In queste acque si trovano alcune delle più grandi aggregazioni al mondo di mante, tonni e megattere, oltre a cinque specie di tartarughe e oltre 300 di pesci, 36 dei quali non esistono in nessun altro luogo del Pianeta. Quando il governo messicano decise di impedire nella riserva ogni attività ittica ed estrattiva, l'industria della pesca messicana si oppose, sostenendo che la cattura di tonni e di altre specie importanti per il settore si sarebbe ridotta del 20%. Ma il nuovo studio, contrariamente ad altre ricerche sul tema, conclude che quei timori erano infondati.
Prima e dopo la cura. La ricerca ha confrontato i dati sul pescato dei quattro anni prima e dei quattro anni successivi al bando delle attività ittiche nella riserva, concludendo che l'istituzione dell'area marina "non ha avuto effetti causali sulla cattura o sull'utilizzo dell'area e dunque non ha recato danno alla flotta ittica messicana". Il lavoro è frutto degli sforzi congiunti del Mexican Center for Marine Biodiversity, della Scripps Institution of Oceanography dell'Università di San Diego, dell'Institute of Americas' Gulf of California Marine Program e della National Geographic Society.
Quali conseguenze? Gli scienziati hanno sfruttato i dati satellitari, quelli sul pescato forniti dalla Mexican Fisheries Commission e strumenti di intelligenza artificiale per capire se l'istituzione dell'area marina protetta avesse prima di tutto, come si sperava, ridotto notevolmente le attività di pesca all'interno dell'area stessa, se avesse avuto un impatto generale anche sulle catture al di fuori dell'area (e dunque una pesante ricaduta economica sul settore) e se avesse costretto i pescatori a perlustrare un'area di mare notevolmente più estesa - una spia di una maggiore fatica a reperire pesce e dunque di uno stato alterato di biodiversità degli oceani.
Oceani più ricchi. I risultati hanno confermato l'efficacia del provvedimento.
La pesca (ora illegale) nella riserva è calata dell'82%, la prova di un sostanziale rispetto delle norme da parte dei pescatori, aiutato da un sistema di GPS da installare obbligatoriamente sui pescherecci. La stessa tecnologia ha permesso di appurare che il divieto di pesca non aveva obbligato i pescatori a estendere di molto le ricerche in altri tratti di mare, ampliando la loro area di attività: apparentemente, le barche stavano catturando lo stesso volume di pescato in un'area più ridotta.
Come è possibile? Il minimo impatto della decisione sulla pesca commerciale è probabilmente dovuto al fatto che l'area marina protetta, per quanto estesa, rappresenta appena il 7% delle acque in cui pesca la flotta tonniera messicana. Un altro motivo, da verificare tuttavia con ulteriori studi, potrebbe essere il rifiorire della vita acquatica nelle acque attorno al parco naturale, per una sorta di "contagio" della ritrovata biodiversità anche nelle zone limitrofe, dove la pesca è ancora consentita.
Un effetto positivo, questo, che è stato documentato anche in altre parti del mondo, come spiega Eric Sala, coature dello studio e ricercatore della National Geographic Society: «Una ricerca lo scorso anno ha mostrato che la cattura di tonno pinna gialla attorno al Papahānaumokuākea Monument, la più grande no-fishing zone al mondo al largo della costa delle Hawaii, è aumentata del 54%. Il peggiore nemico del settore della pesca non sono le aree protette, è l'overfishing. Il pescato globale è in declino dalla metà degli anni '90, eppure solo il 3% degli oceani è protetto dalla pesca».
Ancora molta strada da fare. Alla Conferenza Globale delle Nazioni Unite sulla Biodiversità (COP15) del dicembre 2022 si è convenuti sulla necessità di proteggere almeno il 30% degli oceani dalle attività umane entro il 2030. Una trasformazione drastica di cui potremmo beneficiare anche noi, ma che richiede ancora molto lavoro. Al momento, meno dell'8% degli oceani è sotto una qualche forma di protezione, e solo il 3% è protetto dalla pesca e da altre attività molto invasive.