Il 22 aprile si celebra il 50° anniversario della Giornata della Terra. Un appuntamento che quest'anno, in molti Paesi del mondo, si terrà perlopiù con iniziative in streaming a causa della CoViD-19: i programmi della giornata sono su Earth Day Italy e #OnePeopleOnePlanet.
Al momento la covid è la maggiore sfida per i governi di tutto il mondo, e il punto è proprio questo: se nel breve periodo l'obiettivo è sconfiggere il coronavirus SARS-CoV-2, non ci si deve dimenticare di uno dei maggiori problemi della nosta epoca, la crisi climatica. Il tema dell'Earth Day 2020 è agire per il clima, ed è proprio ciò che gli esperti del Programma di Valutazione degli schemi di Certificazione Forestale italiano (PEFC) temono non accadrà, superata l'emergenza sanitaria, e per questo sottolineano l'importanza di tutelare l'ambiente e le foreste e di vegliare sull'operato dei Governi, che, preoccupati di far ripartire l'economia, potrebbero rendere più flessibili le leggi a tutela dell'ambiente.
Deforestazione... Secondo le stime della FAO (Food and Agriculture Organization), tra il 2010 e il 2015 il mondo ha perso in media 6,5 milioni di ettari di foreste l'anno (65.000 km quadrati, quasi tre volte la Lombardia). Tra le principali cause imputabili all'umanità spiccano zootecnia, agricoltura intensiva, conversione di foreste in piantagioni e utilizzo del legname. «Il legno è la materia prima per antonomasia dello sviluppo sostenibile», afferma Maria Cristina D'Orlando, presidente di PEFC Italia. «Deve però provenire da una gestione sostenibile delle foreste, non dalla loro distruzione.»
… e coronavirus. Coronavirus e deforestazione, epidemie ed estinzioni, sono fenomeni interconnessi. La distruzione delle grandi foreste e la compravendita e il consumo di specie animali selvatiche favoriscono la diffusione di virus zoonotici, che possono cioè passare da animale a uomo, come il coronavirus SARS-CoV-2.
Stop forzato. Se è vero che l'attuale emergenza sanitaria non deve farci dimenticare quella climatica, è altrettanto vero che quando finirà la pandemia di CoViD-19 ci troveremo a fare i conti con ricadute non da poco sugli studi sul clima. «Se questo fosse stato un anno normale, ora sarei in mare», racconta Ed Dever, della Oregon State University (USA), che due volte l'anno salpa al largo delle coste dell'Oregon per controllare il funzionamento degli oltre cento sensori che compongono uno dei segmenti della Ocean Observatories Initiative, un sistema di osservazione oceanica.
Come Dever, sono molti gli scienziati costretti a uno stop forzato dalla pandemia che vedono svanire dati preziosi per il settore e degradarsi i delicati strumenti utilizzati per le rilevazioni.
Questa pausa potrebbe anche mettere a rischio le previsioni meteo nel breve periodo, minacciando nel lungo periodo gli studi sul clima. «Per alcune aree marine si tratta della prima interruzione nella raccolta dati dopo oltre quarant'anni di studi», spiega Frank Davids, ecologista della University of California, Santa Barbara: «dati importanti non solo per le previsioni meteo, ma anche e soprattutto per tenere traccia del cambiamento climatico e della salute degli oceani.»
Non tutto è perduto. In questo scenario poco roseo per la ricerca sul clima, c'è un settore che si salva: è quello che non dipende dall'uomo, e che riguarda i dati di monitoraggio atmosferico. È il caso dell'Advanced Global Atmospheric Gases Experiment (AGAGE): composto da 13 stazioni di monitoraggio, dal 1978 misura la presenza in atmosfera di sostanze che possono distruggere l'ozono, di gas serra e di altre sostanze. Molti dei sistemi impiegati dall'AGAGE sono autonomi: in ogni stazione lavorano una o due persone, che si occupano della manutenzione degli strumenti. «Per noi l'impatto è stato relativamente minore», ha dichiarato Arlyn Andrews, a capo del programma di monitoraggio dei gas serra del NOAA (agenzia federale USA per gli studi di oceanografia, meteorologia e climatologia): «in totale, stimiamo di avere perso meno del 5% di dati.»