Ecologia

Allarme ghiacciai: sempre più neri, sempre più fragili

I cambiamenti climatici e alcuni fenomeni naturali stanno alterando profondamente la fisionomia dei ghiacciai alpini.

Solo alcuni giorni or sono Le Chamoniarde, la società che si occupa della sicurezza in montagna nell'area francese del Massiccio del Monte Bianco, segnalava il crollo di alcuni seracchi sulla parete nord del Mont Blanc du Tacul, proprio su una delle vie più semplici che portano alla vetta, un fatto che si è verificato poche volte, a memoria d’uomo.

Poi l’allarme è arrivato dal Cervino: un gruppo di esperti ha dichiarato che la montagna sta letteralmente “cadendo a pezzi”. E a drammatica conferma vi è stato una caduta di massi lungo la via normale svizzera che ha causato la morte di un alpinista e della sua guida.

L’incremento medio delle temperature lungo l’arco alpino sta portando a uno scioglimento progressivo del permafrost, e conseguentemente delle parti più elevate delle montagne dell’arco alpino. Ma non è tutto: i ghiacciai stanno anche diventando sempre più neri.

Con uno studio pubblicato su Global and Planetary Change, condotto da un gruppo di ricercatori del dipartimento di Scienze e politiche ambientali dell’Università degli Studi di Milano, Davide Fugazza e colleghi denunciano la situazione dei ghiacciai del gruppo dell’Ortles-Cevedale, nel Parco Nazionale dello Stelvio, che sono sempre più neri: una trasformazione che li rende più vulnerabili al cambiamento climatico.

Cambiamenti climatici: i ghiacciai sono sempre più neri e fragili
Il ghiacciaio dello Stelvio nel 2003 e nel 2012. © Università Statale di Milano

Lo studio ha preso avvio dall'analisi di circa 40 anni di dati raccolti dai satelliti Landsat (NASA/USGS). I ricercatori sono risaliti al valore di albedo dei ghiacciai (l'albedo è una misura del potere riflettente di una superficie) nel corso del tempo dopo aver attualizzato, grazie a speciali software, i dati che necessitavano di specifiche correzioni dovute agli effetti dell’atmosfera e alla topografia perché variati nel tempo.

Albedo sempre più basso. L’albedo è un’importante proprietà della superficie di un ghiacciaio: indica la capacità di riflettere la radiazione solare. Una superficie chiara, come la neve fresca, ha un valore di albedo elevato, in quanto riflette buona parte della radiazione solare incidente. Al contrario, una superficie scura, come quella delle rocce, ha un valore di albedo molto più basso, perché solo una minima parte della radiazione solare viene riflessa.

Un albedo minore implica quindi un maggiore assorbimento di radiazione solare da parte del ghiaccio, cosa che equivale a una maggiore fusione, con importanti ricadute sullo stato di salute del ghiacciaio. Analizzando l’archivio dei dati Landsat dall’inizio degli anni ’80 fino ai giorni nostri i ricercatori hanno constatato che per la maggior parte dei ghiacciai studiati si è verificato un sensibile decremento dell’albedo.

In altre parole i ghiacciai sono diventati via via sempre più scuri.

Cambiamenti climatici: i ghiacciai sono sempre più neri e fragili
Ghiacciaio del Gorner (Svizzera). Il clima si surriscalda, i ghiacciai si sciolgono e gemono: anche ascoltando i lamenti delle lingue di ghiaccio gli scienziati imparano a conoscere lo stato di salute di questi ecosistemi. Vedi quando i ghiacciai cantano. © WikiMedia

Neri perché. Tra le principali cause dell'annerimento c’è l’aumento della copertura detritica proveniente dalle pareti rocciose circostanti il ghiacciaio, che si riversa su di esso a seguito dell’aumento delle temperature - che causa anche la fusione precoce della neve caduta in inverno e una maggiore esposizione del ghiaccio durante l’estate. Vero che quando la copertura detritica non naturale supera i 20-30 centimetri, fa da coperta al ghiacciaio sottostante e può, fino ad un certo punto, rallentare il processo di fusione... ma l'argomentazione equivale a voler trovare a tutti i costi un elemento di consolazione per uno scenario desolante.

Un altro importante contributo all’annerimento viene anche dalle polveri trasportate dall’atmosfera, siano esse di origine naturale (principalmente sabbie dai deserti) o antropica (è il cosiddetto black carbon: particolato fine proveniente dalla combustione dei motori diesel, dalle attività industriali della Pianura Padana, dagli incendi boschivi), oltre che dall’azione dei microrganismi come alghe e batteri.

«È il primo studio in cui l’entità dell’annerimento viene valutata su ghiacciai dell’arco alpino in un periodo di tempo così ampio», afferma Davide Fugazza: «conoscere l’intensità di questo fenomeno permette di stimare la fusione del ghiaccio in maniera più accurata, valutare gli effetti dell’annerimento sul regresso dei ghiacciai e sviluppare modelli previsionali per ottenere indicazioni sulla sensibilità dei ghiacciai ai cambiamenti climatici.» Per validare la serie dei dati satellitari sono state utilizzate anche le osservazioni dalla stazione meteorologica permanente dell’Università Statale di Milano, installata nel 2005 sul ghiacciaio dei Forni (alta Valtellina) e parte dei progetti internazionali promossi dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale.

26 agosto 2019 Luigi Bignami
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