Gamberi e aragoste selvatici finiscono sempre più spesso nelle reti dei pescherecci: se siete amanti dei crostacei potrà sembrarvi una buona notizia, ma per l'ambiente lo è un po' meno. Secondo un nuovo studio pubblicato su Nature Climate Change, le emissioni globali di CO2 riconducibili alle attività di pesca sono cresciute del 28% tra il 1990 e il 2011, nonostante la quantità totale di pescato non sia cambiata di molto: questo balzo in avanti è in gran parte dovuto alla maggiore richiesta dei pregiati crostacei.
Un impatto importante. Delle emissioni dannose legate alla pesca si parla poco: quanto a impronta ambientale, nulla è comparabile all'allevamento di bovini, la scelta alimentare meno "eco-friendly" in assoluto. Ma se dovessimo trovare la carne rossa dei mari, la scelta ricadrebbe su gamberi e aragoste non d'acquacoltura. Nonostante questi crostacei selvatici costituiscano da soli circa il 6% del totale del pescato, sono responsabili del 22% di tutte le emissioni di CO2 derivanti dalla pesca.
Robert Parker dell'Università della British Columbia a Vancouver, Canada, è giunto a queste conclusioni dopo aver raccolto i dati relativi all'attività ittica di ogni nazione, che ha confrontato con alcune precedenti stime delle emissioni liberate per ottenere i vari tipi di pescato: 71 litri di carburante, per ottenere una tonnellata di sardine (che nuotano in banchi e sono facili da agguantare); anche 17 mila per una tonnellata di scampi del Mare del Nord, che vengono inseguiti per lunghi tratti di mare.
Inquinante eccidio. Trainare le reti a bassa velocità per catturare i crostacei (con la pesca a strascico, una tecnica particolarmente distruttiva, che per ogni chilo di gamberi raccolti attinge anche 20 chili di pescato accidentale) richiede tra l'altro anche grandi quantità di diesel. La crescente domanda di questi crostacei - che nel 2011 era più alta del 60% rispetto al 1990 - ha quindi liberato una quantità di emissioni tale da vanificare i guadagni ambientali dovuti, per esempio, alla maggiore efficienza dei pescherecci. E questo senza contare le ricadute di una pesca sempre meno varia in termini di biodiversità e l'impoverimento degli ecosistemi.
Il consumo di altri pesci potrebbe costituire un'alternativa più "verde": «Il pesce, in generale, ha un'impronta ambientale simile a quella di un pollo di allevamento, che è la fonte proteica animale "terrestre" più efficiente» spiega Parker. Pesci come le acciughe, le aringhe e le sardine, che tendono a formare grossi banchi più vicini alla riva, costituiscono un'alternativa ancora più green.