Possono i funghi aiutare a riportare l'equilibro nelle foreste del Triveneto colpite dalla tempesta Vaia, nel 2018? Sembrerebbe proprio di sì, secondo Marco Passerini, docente esterno di Micoterapia all'Università di Siena e di Padova. Ma facciamo un passo indietro e torniamo a quei giorni tra il 26 e il 30 ottobre del 2018, quando la tempesta Vaia si abbatté su Veneto, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, e su una piccola parte della Lombardia, causando ingenti danni. Si è stimato che in quei giorni le forti piogge e soprattutto i venti di scirocco, che hanno raggiunto velocità superiori ai 200 chilometri all'ora, abbiano abbattuto 8 milioni e mezzo di metri cubi di legname, un dato mai registrato in Italia a memoria d'uomo, su una superficie di 41.000 ettari (410 chilometri quadrati) di terreno: Federforeste e Coldiretti hanno stimato in 14 milioni il numero totale degli alberi abbattuti. I danni conseguenti a tutto ciò furono enormi: dai 1,7 miliardi di euro in Veneto, ai 400 milioni in Trentino fino ai 615 milioni di euro in Friuli Venezia Giulia.
Che cosa esattamente abbia causato quella tempesta non è stato capito con precisione, ma sembrerebbe che l'estate molto calda del 2018, molto più calda della media, abbia portato a un riscaldamento prolungato delle acque del Mediterraneo e ciò potrebbe spiegare la particolare intensità del dislivello di pressione barometrica nell'area colpita dall'evento, causa della violenza dell'evento. Secondo alcuni esperti, il fenomeno potrebbe ripetersi con energie anche maggiori, specialmente sulle Alpi, vero e proprio laboratorio del cambiamento climatico. Al problema meteorologico va comunque sommato un altro problema, concausa di quel che è avvenuto: la foresta era composta da un solo tipo di albero, monostratificata (ossia senza alberi di altezze diverse) e densa - una tipologia forestale più fragile rispetto a quella mista, pluristratificata.
Pericolo bostrico. Stando sempre a Federforeste ci vorranno anni per togliere dai boschi tutto il legname abbattuto: tempi lunghi che potrebbero ulteriormente complicare le operazioni, rese più difficili dalla degradazione del legname, oltre che rendere inutilizzabile il legname recuperato. In alcuni casi, infatti, i boschi si trovano in aree molto difficili da raggiungere, mentre in altri casi ancora i tronchi non sono in buone condizioni e non vale la pena raccoglierli. Il lavoro di pulizia andrebbe però realizzato in fretta, a causa del rischio che nei tronchi abbattuti proliferino parassiti, in particolare il bostrico (Ips typographus), un insetto che infesta soprattutto gli abeti rossi, in grado di distruggere il legname.
I danni da bostrico, se si diffondesse nella foresta rimasta in piedi, potrebbero essere superiori rispetto a quelli causati dalla tempesta.
Una possibile soluzione. Vaia Myco-Remediation è uno dei progetti messi in campo per ovviare alla questione: prevede la degradazione naturale e il recupero di parte della biomassa legnosa che risulta non raggiungibile o vendibile nei consueti canali commerciali. Il progetto prevede un approccio differenziato in base alle situazioni. Il primo approccio riguarda le ceppaie non estirpate: in questo caso si lasciano le ceppaie sul posto e si dà il via a un processo di degradazione accelerata e controllata della biomassa legnosa da parte di funghi saprofiti specifici, ossia funghi che ricavano nutrimento da sostanze organiche in stato di decomposizione.
Il secondo approccio si focalizza su tronchi schiantati. I tronchi sono lasciati sul posto, tagliati e disposti in cataste parzialmente ricoperte con le ramaglie generate dal taglio e ottimizzate per massimizzare la loro aggredibilità da parte dei funghi saprofiti. Una soluzione che non richiede la movimentazione del legname da trattare, con notevole risparmio di tempo e denaro e che permette di definire delle priorità di pulizia scegliendo le aree a cui dare la precedenza, come i percorsi da ripristinare per la transumanza o anche per il turismo.
Entrambe le soluzioni portano, alla fine del ciclo, a biomassa legnosa utile: la selezione di funghi specifici (cosiddetti "a carie bruna") permette di degradare il legno lasciando come risultato finale piccoli cubetti di legno poroso utili per il mantenimento dell'umidità del suolo e per il miglioramento della sua qualità. Alla fine di tutto ciò si potrà di nuovo procedere all'impianto controllato di abeti ed altre specie arboree.
Che cos'è la myco-remediation. La degradazione del legno si basa su di un processo di myco-remediation, spiega Passerini: «Uno dei ruoli principali dei funghi nell'ecosistema è la decomposizione della sostanza organica vegetale o animale, che è svolta dal micelio del fungo. Il micelio secerne delle sostanze - enzimi ed acidi - che degradano la lignina e la cellulosa, i due componenti principali delle fibre vegetali. La chiave del successo della myco-remediation applicata scientificamente è l'individuazione delle specie fungine specifiche per degradare un contaminante o una sostanza particolare e la gestione controllata della loro proliferazione», e l'arco di tempo in cui dovrebbe chiudersi il ciclo è di circa 6-7 anni.