Non è la prima volta che si parla dei rifiuti lasciati dietro di sé da coloro che si avventurano alla conquista della vetta dell'Everest. Si tratta, ogni anno, di un esercito di circa 1.200 persone che sfidano le temperature rigidissime, il mal di montagna, il disorientamento, la fatica... Solo la metà di essi riesce a coronare il sogno.
Rifiuti, si diceva; in particolare, quelli umani. Nel tempo impiegato per raggungere la meta (in media, circa 2 mesi) si stima che ogni alpinista produca circa 27 kg di escrementi. Per avere un'idea, nell'ultima stagione i “portatori” che lavorano sulla montagna ne hanno trasportato quasi 13 tonnellate dai campi base fino a una discarica, Gorak Shep, ricavata dal letto di un lago ghiacciato a circa 5 mila metri di quota.
Arriva l'ingegnere! Come ha scritto tempo fa il giornalista Grayson Schaff sul Washington Post, questa discarica è una sorta di bomba fecale a orologeria, pronta a esplodere e che oltretutto, anno dopo anno, sta risalendo fino al campo base. Il timore? Se non si troverà una soluzione, prima o poi quell'enorme ammasso di feci congelate finirà per rovinare questo meraviglioso angolo di mondo.
Ma come in ogni problema che si rispetti, anche in questo caso, a un certo punto, si è palesato un ingegnere con in tasca la possibile soluzione. Si tratta di un pensionato americano, Garry Porter, ex progettista della Boeing, oltre che alpinista amatoriale, con all'attivo diverse imprese di un certo spessore. Il suo pallino: trovare un modo per ripulire l'Everest.
La sua soluzione, per quello che lui definisce un potenziale incubo ambientale, è abbastanza semplice: un “digestore”, un impianto che trasformi gli escrementi degli alpinisti in biogas, da utilizzare per cucinare cibo, per l'illuminazione ecc. Nulla di eccezionale o innovativo, dal punto di vista tecnologico. Se non fosse per il problema che, a quelle temperature (quasi mai sopra allo zero), le reazioni chimiche necessarie per far funzionare l'impianto non possono avvenire (o avvengono con poca efficacia).
Il mega-thermos. Così l'ingegner Porter si è messo al lavoro e, grazie anche alla collaborazione di professori delle università di Seattle e di Kathmandu, giunti in suo aiuto, si dice convinto di aver raggiunto l'obiettivo. Il risultato finale, ottenuto modificando un comune digestore “commerciale”, consiste in una specie di mega thermos – interrato e rivestito da più strati di isolamento – all'interno del quale arriva il calore catturato da pannelli solari e immagazzinato da un gruppo di batterie.
Porter ha dichiarato che il suo progetto ha ottenuto l'approvazione per la costruzione da parte del governo nepalese e un primo prototipo ha già dimostrato di funzionare, con una bella fiamma blu accesa grazie al metano prodotto dagli escrementi degli alpinisti.
La sua speranza è che il progetto possa fare da modello per altre montagne, ma nel frattempo, nel sito del Mount Everest Biogas Project, sta raccogliendo donazioni per installare finalmente il suo primo esemplare sull'Everest. Secondo le sue stime i costi dovrebbero aggirarsi attorno al mezzo milione di dollari.