Plastica, plastica e ancora plastica. L’inquinamento del mare continua ad aumentare e le conseguenze che si prospettano per la fauna sono drastiche. Lo afferma lo studio condotto dall’Ente nazionale australiano di ricerca CSIRO pubblicato questa settimana su Proceedings of the National Academy of Sciences: se non si troverà il modo di contenere la contaminazione da plastica degli oceani, entro il 2050 il 99% delle specie di uccelli marini avrà ingoiato rifiuti di plastica, mettendo gravemente a repentaglio la propria sopravvivenza.
Di male in peggio. Se al momento la concentrazione di rifiuti rilevata è di 580mila pezzi di plastica per km quadrato , il dato potrebbe aumentare nei prossimi venticinque anni a un ritmo ancora maggiore rispetto a quello attuale di 4,8 milioni di tonnellate di nuova spazzatura all’anno, causando danni e il probabile decesso a numerosi volatili marini.
Dal 1960 a oggi, la percentuale di uccelli nel cui intestino sono stati trovati tappi di bottiglie, frammenti di sacchetti, accendini e altri scarti del genere è schizzata alle stelle: si è passati dal 5% all’80% del 2010, ha spiegato il professore che ha diretto lo studio, Chris Wilcox.









La ricerca. Il team di Wilcox ha condotto un’analisi dei rischi combinando la distribuzione dei rifiuti e quella di 186 specie di uccelli marini con alcuni dati estratti da ricerche precedenti, realizzate fra il 1962 e il 2012. Questi ultimi studi avevano già denunciato che il 29% degli esemplari esaminati aveva ingerito plastica: secondo la nuova ricerca la percentuale sarebbe oggi del 90%.
Le zone più a rischio. L’inquinamento degli oceani è un fenomeno globale, ma ci sono alcuni luoghi in cui il rischio di contaminazione è particolarmente alto: si tratta delle aree meridionali dell’Atlantico, del Pacifico e dell’Oceano Indiano, con i picchi più alti che si riscontrano nel mare di Tasman, fra Australia e Nuova Zelanda.