In alcuni Paesi del mondo l'incremento della popolazione, la concentrazione in centri abitati relativamente grandi e la grave carenza o inefficienza di infrastrutture igieniche pongono importanti problemi, tra i quali quello della gestione e/o trasformazione dei rifiuti organici, in particolare quelli che il corpo umano produce naturalmente.
Alcune interessanti soluzioni arrivano da ricercatori e imprenditori dell'Africa subsahariana: dall'uso dagli acidi grassi degli escrementi per realizzare bioplastica alle larve che si nutrono delle feci e da cui si ricava poi un olio industriale, fino alle vecchie discariche a cielo aperto adibite a coltivazioni e all'acquacoltura. Ecco numeri e storie di alcune di queste (disgustose) imprese.
Ruanda. Nelle periferie di Kigali, in Ruanda, camion pieni di escrementi e liquami umani viaggiano su impraticabili strade sterrate verso la discarica di Nduba.
Fino a poco tempo fa i camion avrebbero rovesciato il loro contenuto in enormi box aperti, ma dal 2015 schiere di lavoratori in tute verdi sistemano il materiale di scarico in file di casse e nelle serre, dove feci umane e animali si trasformeranno in un carburante secco.
L'ideatore del sistema, Ashley Muspratt, ingegnere sanitario, si riferisce al suo progetto come a un vero business: «igiene con effetti collaterali monetizzabili!», per esempio energia (rinnovabile) per le industrie locali.
Muspratt è solo uno dei tanti nuovi imprenditori che si ingegnano per trovare soluzioni e realizzare profitti da un problema sanitario che travalica i confini dell'Africa: la scarsa o totale mancanza di infrastrutture igieniche in molte regioni del pianeta.
Bisogni urgenti. Secondo un rapporto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e dall'Unicef di luglio 2017, ci sono 2,8 miliardi di persone (il 38% della popolazione mondiale) che non hanno accesso a sistemi fognari chiusi. I rifiuti finiscono spesso in canali di scolo a cielo aperto o, nella migliore delle ipotesi, in cisterne, pozzi neri e latrine a fossa - che di solito vengono svuotate senza nessun riguardo per le norme igieniche. L'OMS stima che entro il 2030 il numero di persone che non avrà accesso a sistemi fognari salirà a 5 miliardi.
Il 2030 rappresenta uno spartiacque: se non cambia nulla, per quella data è prevista una significativa riduzione degli aiuti internazionali per acqua e sanità, a livello mondiale. Le iniziative di alto profilo, come gli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite, sono riuscite abbastanza bene a «far mettere sederi sulle tavolette del water o piedi sulle turche», afferma Claire Furlong, ingegnere ambientale dell'IHE Delft Institute for Water Education: «ma quei servizi igienici ora sono pieni.
.. Che cosa ne facciamo?»
Il valore del rifiuto. La domanda sta trovando risposta nella transizione del modello economico della sanità: il passaggio da servizio pubblico a parzialmente privato. Un modello liberale che pare essere l'unico a poter funzionare, in alcuni Paesi, «con imprenditori che trovano valore negli escrementi dove il modello pubblico è inesistente o fallito», afferma Doulaye Kone, vicedirettore del programma Water, Sanitation and Hygiene (WASH, uno degli obiettivi del millennio) presso la Bill & Melinda Gates Foundation.
La mancanza di volontà, l'inefficenza e spesso anche l'incerto controllo del territorio da parte dei governi dei Paesi del terzo mondo, in particolare in Africa, è il motivo per cui molti impianti pubblici per il trattamento dei rifiuti sono del tutto abbandonati o quasi.
Risorse pericolose. Nell'uso degli escrementi, in particolare di quelli umani, ci sono anche pericolose derive sanitarie spesso sottovalutate, o del tutto ignorate, come dimostra il caso documentato di alcuni coltivatori ganesi che - a corto di fertilizzanti - intercettano i camion che trasportano liquami e ne fanno scaricare un po' nei loro loro campi, per fertilizzarli.
Dagli escrementi si ottiene un ottimo fertilizzante, ma se non vengono trattati adeguatamente (in particolare quelli umani) ci sono significativi rischi che si verifichino poi infezioni ed epidemie, per esempio di tifo, colera o di altri patogeni. Nei bambini l'esposizione ad alimenti e acqua contaminata è in Africa la prima causa di morte, prima ancora della scarsità di cibo, e le stesse problematiche riguardano gli ambienti malsani, che non sono necessariamente la discarica: sono una minaccia anche solo le semplici strade, vissute e percorse a piedi nudi.
Quegli agricoltori ganesi sono però solamente un piccolo tassello in uno scenario desolante: nel Paese, meno del 5% della popolazione è servito da fognature e, per la mancanza di impianti di trattamento, la maggior parte dei liquami finisce nell'ambiente, in fosse aperte o direttamente in mare.
Ghana. La trasformazione di liquami in concime non è un problema tecnico: occorre solo volerlo gestire. A Tema, a est della capitale, Accra, una iniziativa (privata) ha dimostrato di poter funzionare con profitto e poca tecnologia.
I liquami raccolti vengono lasciati ad asciugare in letti di sabbia per diversi giorni. Il materiale secco è mescolato a segatura e rifiuti alimentari, e poi traslato in capannoni coperti, dov'è rivoltato regolarmente - a mano - per un paio di mesi: in questa fase la fermentazione sviluppa abbastanza calore da distruggere i patogeni. Infine viene disposto in altre vasche, dove si raffredda prima di essere insaccato.
È un processo low-tech, efficiente e decisamente economico, coerente con la cultura, lo sviluppo e l'ambiente ghanesi. Addizionato di solfato d'ammonio, il prodotto finale diventa un fertilizzante adeguato all'agricoltura della regione.
A Tema, a pieno regime si possono produrre 500.000 tonnellate di fertilizzanti l'anno dai rifiuti di circa 100 mila persone: il modello è piaciuto e, pare, verrà esportato dall'altra parte del mondo, nello Sri Lanka.
Tutti in bagno! Secondo una relazione del 2015 dell'Istituto per l'Acqua, l'Ambiente e la salute (sede canadese dell'Università delle Nazioni Unite), se tutte le feci umane prodotte annualmente fossero convertite in biogas fornirebbero elettricità a più di 138 milioni di famiglie. I residui del liquame potrebbe essere essiccati in un combustibile simile al carbone e sopperire al fabbisogno energetico di altre centinaia di migliaia di famiglie.
In Ruanda, nell'impianto di Nduba di cui abbiamo parlato all'inizio di questa panoramica, si produce combustibile solido in un processo che richiede qualche tecnologia in più rispetto al lavoro che fanno in Ghana: l'essiccazione della "materia prima" avviene facendo passare i liquami attraverso centrifughe a microfori (che eliminano la maggior parte dell'acqua) ed esponendo poi il materiale a essiccatori termoventilati. Il prodotto finale è in polvere o in granuli, con un 20% di energia termica potenziale in più rispetto ad altri combustibili a base di biomasse, come la segatura di legno o le bucce di caffè, ed è destinato ad alimentare i forni delle industrie locali.
I profitti sono buoni (grazie anche alle sovvenzioni), ma «aspettarsi alti profitti dal recupero dei liquami è irrealistico», spiega Linda Strande, ingegnere ambientale dell'istituto di ricerca svizzero Eawag: «venderemmo merda qui se ci fosse davvero un grande profitto», ironizza. «La maggior parte dei progetti può sperare di recuperare il 10-20% dei costi operativi annuali, spiega. E va bene così, perché, almeno, nel fare soldi trasformano i liquami in qualcosa di valore, da gestire con maggiore attenzione.»
Ne serve di più... Ironia della sorte, il principale problema degli impianti di trasformazione è l'approvvigionamento di materia prima. In teoria, una città di almeno un milione di persone, come può essere Kigali, dovrebbe fornirne a sufficienza... ma la verità è che nessuno recupera liquami dalle baraccopoli, dove vive la stragrande maggioranza della popolazione e dove rifiuti ed escrementi sono gettati nei vicoli o riversati nei fossi. È un problema di difficile soluzione in mancanza di iniziative delle autorità.
Larve del Sudafrica. Nel 2000, a seguito di un'epidemia di colera le autorità di Durban (città portuale con oltre 3 milioni di abitanti, in Sudafrica) hanno fatto installare, nelle aree rurali della periferia, più di 85.000 servizi igienici che separano l'urina dalle feci.
L'urina viene filtrata nel terreno, mentre i solidi (su disposizione delle autorità) devono essere seppelliti dai cittadini all'interno della loro proprietà.
È stata una sicura soluzione per l'emergenza, ma ora mostra tutti i suoi limiti, sociali e sanitari. Recentemente l'azienda idrica di Durban avrebbe voluto avviare un progetto di raccolta del residuo solido, ma... per farne cosa? Il prodotto, praticamente solido, non può essere immesso nel circuito di trattamento delle acque reflue della città, non contiene più abbastanza "nutrienti" da farne un buon compost e la costruzione di un deposito per rifiuti pericolosi di questo tipo è un'operazione troppo costosa.
Una possibile soluzione è stata identificata nella mosca soldato nera (Hermetia illucens), che allo stadio larvale si nutre voracemente, mentre smette di cibarsi da adulta - quindi non si posa sul cibo e si riduce così il rischio di trasmissione di malattie.
Questa mosca è già usata in Sudafrica per il trattamento dei rifiuti alimentari, a Cape Town. Quando le uova degli insetti (allevati in gabbia) si schiudono, le larve vengono messe a contatto con i rifiuti (l'organico della nostra raccolta differenziata). Un paio di settimane dopo gli insetti diventano pupe e il prodotto di scarto delle larve, ricco di sostanze azotate, è già un fertilizzante fatto e finito. In più, le pupe vengono disidratate e trasformate in un componente per il foraggio o anche "spremute" per estrarre un olio additivo nella produzione di biodisel (ma usato anche in cosmetica).
Con il contributo della Fondazione Gates, alla fine del 2016 è stato avviato a Durban un impianto pilota di trattamento degli escrementi con le mosche, la BioCycle. «Le larve trattano il "nuovo cibo" più o meno come il vecchio», afferma David Wilco Drew, direttore dell'azienda che ha curato l'adeguamento del processo nato in origine per i rifiuti alimentari, «ma per ovvi motivi legati alla natura della materia prima il prodotto elaborato dalle larve non è destinato all'agricoltura: viene pressato e diventa combustibile. Il destino delle pupe è invece ancora quello di diventare olio per l'industria.»
A piena capacità l'impianto pilota può trattare 40 tonnellate di materiale fecale al giorno: «è la più grande raccolta di insetti fecali del pianeta», chiosa Drew, «e... sì, tutti i cittadini del mondo possono contribuire al nostro progetto!»
© 2017 Focus.it; ha collaborato: Davide Lizzani