Tra gli obiettivi della COP26, la Conferenza delle Parti che si è tenuta a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre, vi era quello di arrivare a emissioni nette zero a livello globale, anche se in tempi differenti tra gruppi di Paesi: con emissioni nette zero (da non confondere con zero emissioni, ovvero una conversione totale all'energia pulita, obiettivo utopico), si intende una situazione di bilanciamento in cui non si emettono più gas serra di quanti se ne sequestrino o compensino.
Considerando che il settore energetico e quello dell'industria pesante sono il primo e il secondo al mondo per inquinamento da CO2, va da sé che la decarbonizzazione di questi settori è un passo fondamentale per raggiungere l'obiettivo neutralità: ferro, cemento, alluminio e sostanze chimiche contribuiscono per il 60% alle emissioni industriali attuali, e il consumo energetico, che era crollato durante i primi mesi di pandemia, è ora tornato a salire segnando un +0,5% su scala globale rispetto al 2019.
Secondo i capi di alcune aziende attive in questi due settori (industrie pesanti ed energia), azzerare le emissioni nette potrebbe essere meno difficile di quanto sembri - ma, si sa, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare (e gli interessi economici).
Condividere. Secondo Oyvind Eriksen (Aker ASA), che sottolinea l'importanza della collaborazione tra settore pubblico e privato, quando un'azienda scopre una nuova tecnologia o una nuova soluzione per ridurre le emissioni inquinanti, deve condividerla con altre aziende e altri Paesi: «Nel nostro caso, ad esempio, la Norvegia non ha una grande responsabilità nelle emissioni globali di CO2, e una riduzione nella nostra azienda non farà la differenza», spiega. «Ciò che farà la differenza è esportare le nostre conoscenze al resto del mondo, affinché altri possano utilizzarle per diminuire il loro impatto climatico».
Sequestrare. Secondo Mahendra Singhi (Dalmia Bharat), la chiave per arrivare a emissioni nette zero per l'industria del cemento sta nelle tecnologie di sequestro del carbonio: «Bisogna catturare la CO2, renderla riutilizzabile e guadagnare dal riutilizzo», spiega Singhi citando un metodo chiamato CCU (Carbon Capture and Utilization, cattura e utilizzo del carbonio), e aggiungendo: «Spero che entro il 2030 questa tecnologia funga da vaccino contro la crisi climatica». Ma, per raggiungere questo obiettivo, c'è bisogno di soldi: «le banche e le istituzioni finanziarie devono essere pronte a correre il rischio».
Collaborare e riciclare. Secondo Jan Jenisch (Holcim) la decarbonizzazione parte dall'innovazione, ma richiede collaborazione: la sua azienda, spiega, utilizza ogni giorno oltre 100.000 camion non di sua proprietà per trasportare materiale.
«Se riuscissimo a lavorare con i nostri fornitori per diventare più sostenibili, potremmo avere un impatto ancora maggiore sull'ambiente». Inoltre, Jenisch sottolinea l'importanza di adottare un'economia circolare nell'ambito dell'industria del cemento, per riuscire a riciclare i rifiuti di demolizione e ritrasformarli in calcestruzzo.
Investire. Secondo Svein Tore Holsether (Yara International), decarbonizzare non è difficile: «Molte delle tecnologie necessarie esistono già», spiega, sottolineando però, ancora una volta, che il problema principale è quello del denaro. I primi passi possono risultare costosi, ma vanno ripensati in prospettiva: per decarbonizzare totalmente le filiere produttive è necessario un investimento pari all'1-4% del costo finale del prodotto al consumatore. Un piccolo sforzo, se confrontato con le catastrofiche conseguenze di una mancata decarbonizzazione e un aumento della temperatura globale di oltre 2 °C rispetto al livello preindustriale.
Secondo i manager di queste imprese è dunque possibile la transizione dal "come al solito" (business as usual) a un impianto economico-industriale capace di percorrere la strada della decarbonizzazione senza deragliare. A patto che vi siano sufficienti investimenti pubblici e che i loro prodotti/servizi siano in qualche modo protetti dalla concorrenza di imprese di Paesi dove decarbonizzazione e politiche ambientali sono obiettivi lontani (sempre che siano "obiettivi").