Guardando agli ultimi due rapporti presentati sulle emissioni inquinanti dall'Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), sembrerebbe lecito tirare un sospiro di sollievo sulla situazione dell'atmosfera in Italia - o quantomeno pensare che l'Italia stia andando nella (giusta) direzione del Trattato di Parigi sul clima (2015).
I dati infatti parlano chiaro: per esempio, tra il 1990 e il 2018 il Belpaese ha registrato un calo nelle emissioni di CO2 del 17%. Questa tendenza sembra comune a molti paesi europei: l'Istituto Nazionale di Statistica spagnolo (INE) riporta, per il periodo 2000-2018, di un calo del 12% delle emissioni di anidride carbonica in Spagna, del 16% in Germania, del 20% in Francia, del 32% nel Regno Unito.
Il gioco delle tre carte. Quello che i numeri non raccontano sono i come e i perché le emissioni di CO2 sono calate. La risposta breve è perché le esportiamo - o meglio, perché ci sono altri paesi (quasi sempre extra UE) che inquinano al posto nostro. Ce ne accorgiamo subito guardando al quadro globale delle emissioni per lo stesso periodo: dal 2000 al 2018, a livello globale, le emissioni di anidride carbonica sono cresciute del 41%. Guardando a est, in particolare a Cina e India, le cifre schizzano alle stelle, con rispettivamente +200% e +144%.
Noi compriamo, voi inquinate. Che relazione hanno i paesi UE con Cina e India? Basta leggere una qualunque etichetta di un capo d'abbigliamento acquistato in una grande catena o guardare il retro di un nostro smartphone per avere la risposta, e capire che sono questi Paesi a farsi carico del peso delle emissioni derivanti dalla produzione di beni e oggetti che utilizziamo in Europa.
Il giro del mondo. La maggior parte di queste emissioni di CO2 viene prodotta nelle tappe intermedie di fabbricazione, che vengono portate a termine in diversi paesi del mondo, dal Sud America all'Asia. Un articolo pubblicato sulla versione spagnola di The Conversation prende ad esempio un iPhone Apple: disegnato negli USA, alcune componenti vengono prodotte in Malesia, la memoria in India, il rame viene da Mongolia e Cile (dove viene spesso estratto da persone che lavorano in condizioni disumane), e il tutto viene assemblato in Cina. Così facendo, le emissioni si suddividono in vari paesi del mondo, ma, nel caso di questo esempio, la responsabile è sempre e solo Apple.
La carbon tax. I Paesi europei non hanno competenza legislativa al di fuori del proprio territorio, per cui non possono imporre un tetto massimo alle emissioni dei luoghi dove le aziende decidono di andare a produrre, né possono imporre l'utilizzo di energie verdi.
In Europa si cerca di trovare una soluzione a questo problema discutendo di Border Carbon Tax, una tassa sulle importazioni che gravi in maniera direttamente proporzionale alle emissioni di CO2 legate alla produzione delle categorie merceologiche importate.
Quasi un suicidio... Secondo uno studio del 2019 dell'Osservatorio CPI, con la carbon tax il prezzo del carbone in Italia aumenterebbe del 134%, quello dell'elettricità del 18% e la benzina costerebbe il 12% in più. Il confronto è tra portafogli e salute, e dove abbiamo visto in atto questo braccio di ferro, la salute non ne è mai uscita troppo bene, almeno in Italia - vedi Taranto e la ex-Ilva. In questo caso avranno la meglio gli interessi economici o quelli sanitari? Le grandi multinazionali oppure la riduzione dell'inquinamento dell'aria? Purtroppo, in tempi di covid le priorità dei governi potrebbero essere altre, viste le drammatiche condizioni di salute delle economie.
La compravendita delle emissioni. Un altro tentativo di limitare le emissioni di gas serra viene dal sistema per lo scambio delle quote di emissione (ETS, Emissions Trading System) della UE, attualmente attivo in 31 paesi (Italia compresa). Funziona così: la UE fissa un limite per le emissioni di alcuni gas serra; se le imprese emettono meno del massimo concesso, ricevono delle quote di emissione - una sorta di "bonus" per aver fatto il proprio dovere. Se invece non rispettano i limiti ed emettono più del dovuto, incorrono in multe salate, ma attenzione: possono acquistare i bonus da chi è stato più virtuoso, evitando quindi le multe e continuando a inquinare. Chi ha ridotto le proprie emissioni può decidere di tenere i propri bonus (per, magari, sforare l'anno successivo), oppure di venderli ai meno virtuosi: un modo (nemmeno troppo velato) di fare dell'inquinamento un business.