I modelli usati per studiare gli effetti dell’aumento della temperatura terrestre prevedono per le zone artiche, oltre alla fusione dei ghiacci della calotta polare e al rischio di estinzione per diverse specie viventi, un forte rilascio di metano e anidride carbonica dal permafrost, ossia dai suoli attualmente ghiacciati e che perderanno il ghiaccio che li mantiene tali.
Vari studi hanno stimato che il permafrost artico contiene circa mille miliardi di tonnellate di carbonio, che rilasciato sotto forma di vari gas potrebbe accelerare ancor più il riscaldamento globale. Le emissioni di carbonio sotto forma di metano (CH4) destano particolare apprensione, perché su una scala di 100 anni questo gas può trattenere il calore terrestre 25 volte più dell’anidride carbonica.
Convinzioni ribaltate. Fino a oggi l’idea che lo scioglimento del permafrost portasse alla fuga del metano era ben radicata, ma una nuova ricerca dell’università di Princeton mette in discussione questo modello. Nello studio, i ricercatori sostengono infatti che, grazie a batteri che si nutrono di metano presenti nei suoli artici, il gas verrebbe sottratto dall’atmosfera anziché essere immesso.
E in base alle loro proiezioni il fenomeno sarebbe proporzionale all’aumento della temperatura terrestre.
Nuovi batteri. A tale conclusione i ricercatori sono giunti dopo aver tenuto sotto controllo per tre anni consecutivi i suoli poveri di carbonio dell’isola di Axel Heiberg, nella regione artica del Canada. Essi hanno osservato una costante crescita nella sottrazione di metano dall’atmosfera allorché la temperatura del suolo è salita da 0 °C a 18 °C.
«Questo fa pensare - spiega Chui Yim Lau, coordinatore dello studio - che se la temperatura dell’atmosfera delle zone artiche dovesse aumentare da 5 a 15 °C nei prossimi anni, la sottrazione di metano dall’atmosfera potrebbe crescere da 5 a 30 volte quella attuale.»
I batteri che si nutrono del carbonio fanno parte di un gruppo noto come upland soil cluster alpha, ma non è ancora stata identificata la specie esatta. Adesso si cercherà anche di capire se il fenomeno è localizzato nell’area artica canadese o se è tipico di tutti gli ambienti artici del pianeta.