Ecologia

Specie marine invasive nel Mediterraneo

La navigazione da diporto, con yacht e barche a vela, è responsabile della diffusione di specie aliene lungo le coste italiane e dell'intero Mediterraneo: specie esotiche invasive che alterano profondamente gli ecosistemi.

Le specie marine esotiche (dette anche aliene) costituiscono uno dei più potenti meccanismi di alterazione delle comunità e degli ecosistemi marini e un problema in continuo aumento nel Mediterraneo. Le nostre coste proliferano di alghe e animali provenienti da oceani lontani, immessi nei nostri mari dalle acque di zavorra delle navi, dagli acquari privati o dagli impianti di acquacoltura che importano molluschi asiatici destinati all'allevamento e al consumo. Il Canale di Suez, recentemente ampliato per permettere un più veloce passaggio delle navi, favorisce l'ingresso spontaneo di specie del Mar Rosso, alcune delle quali stanno raggiungendo anche le coste italiane, con possibili conseguenze per la biodiversità locale e il turismo.

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Watersipora arcuata: piccoli organismi marini coloniali, originari dei mari delle Galapagos. © Agnese Marchini

Ma a quanto pare esiste un ulteriore vettore di introduzione, fino ad ora ignorato e non regolato da normative specifiche: la navigazione da diporto. Le chiglie delle barche che si spostano da una marina turistica all'altra sono infatti spesso incrostate di organismi che riescono così a compiere lunghi tragitti e a insediarsi in ambienti nuovi, andando talvolta a sostituirsi alle specie locali.

Le marine turistiche più frequentate dagli amanti del mare diventano così dei veri ricettacoli di specie aliene, che col traffico da diporto vengono ulteriormente diffuse da un sito all'altro.

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Watersipora sp.: una colonia di Watersipora.

È questo il risultato del lavoro di un team di ricercatrici dell'Università di Pavia, membri della Società Italiana di Biologia Marina. Nel corso dello studio del 2017 (vedi a fondo pagina i riferimenti) le ricercatrici hanno analizzato gli organismi che incrostano le banchine portuali di cinque grandi porti lungo la costa Ligure, Toscana e Sarda (Genova, La Spezia, Livorno, Olbia e Porto Torres) e cinque marine turistiche vicine a ciascuno di essi (Santa Margherita Ligure, Lerici, Viareggio, Porto Rotondo e Castelsardo).

L'idea alla base dello studio era che i grandi porti, frequentati da imbarcazioni internazionali, fungessero da punto di arrivo per specie marine aliene, e che alcune di esse potessero raggiungere anche le vicine marine turistiche, favorite dal traffico locale di yacht e barche a vela. In pratica, ci si aspettava che nelle marine turistiche fossero presenti alcune delle specie aliene già presenti nei porti. Ma i risultati hanno rivelato uno scenario diverso dalle aspettative.

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Biodiversita: i nudibranchi del Mediterraneo. © Egidio Trainito

Alcune marine turistiche abbondano più del previsto di specie aliene dalle origini più svariate (Nord America, Giappone, Galapagos eccetera), spesso diverse da quelle presenti nei porti, e in numero comparabile a quello dei grandi porti.

Sorprendentemente, alcuni alieni mai registrati prima d'ora in Mediterraneo non sono stati osservati nei grandi porti, bensì solo nelle marine turistiche.

Questo indica che le barche a vela e gli yacht che d'estate affollano i nostri mari rappresentano vettori di introduzione e dispersione di specie aliene marine da non sottovalutare.

Onnipresenti. Un nuovo studio afferente allo stesso gruppo di lavoro, appena pubblicato sul Journal of Applied Ecology, ha seguito i viaggi delle bioincrostazioni di macroinvertebrati (anellidi, molluschi, tunicati, crostacei e briozoi) su un più ampio numero di navi ormeggiate in 25 porticcioli turistici del Mediterraneo, dalla Francia a Cipro.

Bioincrostazioni su una barca ormeggiata ad Antibes, Francia. © Aylin Ulman

Aylin Ulman ha analizzato circa 600 imbarcazioni da diporto esplorandone sott'acqua la chiglia, alla ricerca di specie marine di origine extra-Mediterranea. Ha inoltre intervistato i proprietari riguardo le loro abitudini di viaggio e di manutenzione delle barche.

«I risultati di questa indagine hanno sorpreso anche noi stessi, rivelando che una altissima percentuale di imbarcazioni (70%) porta sulla chiglia almeno una specie animale marina 'aliena' per il Mediterraneo» spiega Agnese Marchini, ricercatrice del Dipartimento di Scienze Ambientali e della Terra dell'Università di Pavia.

«Specie non-native si rinvengono anche su imbarcazioni recentemente sottoposte a operazioni di pulizia, il che dimostra l'inefficacia delle attuali procedure per contrastare gli organismi incrostanti le chiglie. Considerando che, secondo quanto dichiarato dalle centinaia di diportisti intervistati, il tempo medio di utilizzo di una imbarcazione è 67 giorni all'anno, e il numero medio di marine turistiche visitate annualmente è 7,5, risulta evidente che la nautica da diporto costituisce un efficacissimo mezzo di dispersione di specie non-indigene potenzialmente pericolose per la biodiversità del Mare Nostrum».

In generale si considerano "alieni" animali e piante arrivati con l'aiuto dell'uomo in luoghi molto lontani dalla loro area di distribuzione originaria. In alcuni casi, una specie di nuova introduzione può trasformarsi da aliena a invasiva, e risultare dannosa per gli ecosistemi.

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Ecosistemi in pericolo: la posidonia. © ESA Diving

Sebbene gli organismi che destano maggiore preoccupazione siano soprattutto le specie di grosse dimensioni e quelle pericolose per l'uomo, quali meduse o pesci velenosi, alcune delle specie che incrostano le chiglie delle barche sono da considerarsi ospiti indesiderati, perché in grado di alterare localmente la biodiversità e i flussi di energia nell'ambiente marino.

In alcuni Paesi è tassativamente vietato entrare in un porto con lo scafo incrostato di organismi (è il caso dell'Australia e della Nuova Zelanda). In Europa non esiste al momento una simile legislazione: in attesa di provvedimenti nazionali o comunitari, occorre però sensibilizzare chi pratica la navigazione ricreativa e promuovere comportamenti "virtuosi", come la pulizia frequente dello scafo, che possono aiutare a contrastare la diffusione di alieni nocivi.

il primo studio, pubblicato all'inizio di agosto 2017 su Biofouling (sommario, in inglese), è stato condotto da Jasmine Ferrario, Sarah Caronni, Anna Occhipinti-Ambrogi e Agnese Marchini, dell'Università di Pavia, membri della Società Italiana di Biologia Marina (ringraziamo Agnese Marchini per la sintesi in italiano).

Il secondo studio, pubblicato il 25 settembre sul Journal of Applied Ecology, è stato condotto da Aylin Ulman. Notizia aggiornata al 25 settembre 2019.

27 settembre 2019 Focus.it
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