L'idea dei dissalatori, per desalinizzare acqua di mare o acque variamente salmastre e renderla disponibile per le attività umane, non è nuova e sembra oggi sempre più una soluzione concreta e realistica per soddisfare almeno parte della sete di acqua dolce dell'umanità - e ci sono forti interessi (non solamente sociali e umanitari) a ottimizzare le tecnologie di desalinizzazione e ad abbatterne i costi per l'utilizzo su grande scala, costi che sono ancora troppo elevati per molti dei Paesi che ne avrebbero maggiormente bisogno. I circa 16.000 impianti di dissalazione disseminati per il mondo sono infatti per la maggior parte concentrati in Medio Oriente e in nord Africa, in contesti economicamente sviluppati e ricchi.
Uno studio recente (dicembre 2018) commissionato dall'Onu rivela che la capacità di produzione di acqua più o meno dolce degli impianti di desalinizzazione è pari a circa 95 milioni di metri cubi al giorno, ossia circa 95 miliardi di litri al giorno.
95 milioni di metri cubi d'acqua al giorno è circa la metà della portata media dalle cascate del Niagara
Tanto? Poco? Le cifre possono confondere: uno studio della Fao, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura, stimava in 628 metri cubi l'anno di acqua pro capite il fabbisogno da destinare a agricoltura, industria e usi civili e domestici (stima del 1995).
Ci sarebbe un'importante distinzione da fare tra acqua prelevata e acqua consumata, ma ci porterebbe fuori tema. In questa occasione ci soffermiamo invece sui volumi: sono 628.000 litri d'acqua l'anno per ogni singola persona sulla Terra impegnati per produrre cibo (circa 70%), per ogni tipo di produzione industriale o manufatturiera (circa 20%), per tutte le attività domestiche, cittadine, sociali, ludiche (circa 10%).
Bene? Male? Ben vengano dunque gli studi e le tecnologie per ottimizzare i nostri vari processi industriali, e ben vengano anche i dissalatori, ma su questi bisogna fare qualche ulteriore riflessione. Lo studio commissionato dall'Onu (quello citato più sopra, del 2018) mette infatti in luce un'altra faccia della medaglia: per ogni litro di acqua desalinizzata c'è un residuo di 1,5 litri di salamoia - a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell'acqua di partenza.
Diciamolo in un altro modo: a livello globale, a fronte dei 95 milioni di metri cubi di acqua dolce gli impianti di desalinazione producono anche 142 milioni di metri cubi di salamoia ipersalina al giorno.
In un anno la salamoia prodotta sarebbe sufficiente a coprire mezza Italia sotto 30 centimetri di melma caustica
È il 50% in più di quanto si stimava, ma il team dei ricercatori di istituti universitari di Canada, Olanda e Korea ha condotto uno studio rigoroso, sulla base delle più recenti tecnologie dei dissalatori effettivamente operativi, anche per capire quale impatto aspettarsi in considerazione della crescente richiesta di acqua a livello globale.
L'analisi rivela innanzi tutto che una buona metà della salamoia mondiale è prodotta in soli quattro Paesi: Arabia Saudita (22%), Emirati Arabi Uniti (20,2%), Kwait (6,6%) e Qatar (5,8%). Gli impianti del Medio Oriente che utilizzano le tecnologie di dissalazione termica/evaporativa producono mediamente da due a quattro volte più salamoia per metro cubo di acqua pulita (vedi il grafico qui sopra) rispetto agli impianti che utilizzano il metodo della distillazione a membrana per la desalinizzazione di acqua di fiume, più diffusi negli Stati uniti.
Scorie caustiche. Bisognerebbe considerare la melma ipersalina ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari, alla stregua di altre scorie industriali pericolose, destinandola a processi di smaltimento ad hoc. La corretta gestione di questo materiale è costosa e, al momento, può rappresentare fino al 33% dei costi operativi dell'impianto. Così accade ciò che purtroppo si vede anche in altri ambiti: la maggior parte della salamoia finisce direttamente negli oceani, nelle acque superficiali, negli impianti di smaltimento delle acque reflue attraverso le fognature o, più raramente, in pozzi profondi.
Com'è facile intuire, e come gli autori dello studio hanno sottolineato, la salamoia smaltita in mare altera la salinità dell'acqua in prossimità delle coste (a partire cioè da dove vengono riversate) e compromette l'ambiente marino. Edward Jones, uno dei ricercatori, è molto diretto: «l'elevata salinità produce una riduzione nel livello di ossigeno in acqua, e questo impatta notevolmente sugli habitat degli organismi bentonici, con effetti ecologici osservabili lungo tutta la catena alimentare».
Scorie d'oro. Con tutto ciò, il recupero di acqua attraverso la desalinazione non è di per sé un processo da scartare a priori, e per diversi motivi. Lo stesso studio identifica infatti diverse opportunità economiche per la salamoia, che potrebbe essere usata per irrigare specie tolleranti al sale, per esempio, e in acquacoltura; dalla melma si potrebbero inoltre recuperare sali, metalli e altri elementi in percentuali significative: magnesio, gesso, cloruro di sodio, di calcio, di potassio, di bromo, di litio...
Alcune delle tecnologie chiamate in causa per questi processi sono però ancora immature e devono essere fatti passi in avanti affinché diventino economicamente competitive, ma questa sembra essere esclusivamente una questione di obiettivi e di investimenti.
L'acqua dei ricchi. Manzoor Qadir, un altro dei ricercatori, traccia un quadro generale: «L'uso di acqua salina ha già dimostrato notevoli vantaggi commerciali, sociali e ambientali, tant'è che là dove è stata utilizzata per l'acquacoltura si è avuto un aumento della biomassa del 300 per cento; è anche già stata utilizzata con successo per la coltivazione dell'alga spirulina e per irrigare arbusti da foraggio e altre colture.
Non c'è dubbio che occorre rendere le tecnologie di desalinizzazione accessibili anche a Paesi a basso e medio-basso reddito, ma allo stesso tempo occorre risolvere velocemente gli inconvenienti della desalinizzazione: i due processi devono procedere insieme, perché già oggi quasi due miliardi di persone vivono in aree a scarsità di risorse idriche. Per loro, la desalinizzazione può fare la differenza».
Dalle poche strutture sperimentali degli anni '60, impiantate per lo più in Medio Oriente, siamo oggi a quasi 16.000 impianti in 177 Paesi, due terzi dei quali in Paesi ad alto reddito, dove è frequente che l'acqua dissalata sia impiegata per attività non primarie. In Europa, la Spagna, al primo posto nella desalinizzazione (9,2% del fabbisogno), usa una parte significativa di questa acqua per i servizi richiesti dall'industria del turismo.
Lentamente, la tecnologia diventa sempre più accessibile, grazie all'ottimizzazione dei processi e ai progressi delle tecnologie a membrana, dei sistemi di recupero energetico e dell'accoppiamento dei dissalatori con fonti di energia rinnovabili. Adesso, investire nella migliore valorizzazione delle scorie - la salamoia - significherebbe chiudere il cerchio e mitigare gli effetti della futura, inevitabile crisi idrica globale.