A seguito del disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, il 20 aprile 2010, quando un’esplosione provocò la fuoriuscita di enormi quantità di idrocarburi dal fondale del Golfo del Messico, le autorità presero una decisione controversa per consentire l'intervento degli specialisti e arginare il disastro.
In quel momento era infatti impossibile operare con efficacia a causa dei miasmi particolarmente dannosi e pericolosi per la salute. Per permettere al personale di soccorso di lavorare in emergenza vennero versati in mare 2.650 metri cubi di Corexit EC9500A, un potente solvente chimico.
Il Corexit, spesso utilizzato in emergenza come disperdente, è un mix di sostanze chimiche, alcune anche molto dannose per l'uomo e per l'ambiente. I responsabili della British Petroleum (la multinazionale che aveva in gestione la piattaforma) e del governo americano giustificarono la decisione definendola "il male minore": meglio utilizzare un solvente chimico in mare aperto piuttosto che lasciare che tutto quel petrolio raggiungesse la costa e gli estuari dei fiumi.
Va detto che nonostante il Corexit e il notevole impegno tecnologico per interrompere il flusso incontrollato di idrocarbuti, parte di questi arrivarono comunque sulle coste di Florida, Mississippi, Alabama e Louisiana, provocando notevoli danni all'ambiente e alle attività di pesca.
Da allora si è discusso a lungo sull'efficacia dell'uso del Corexit. Per alcuni si è trattato di un'esagerazione che ha procurato più danni che benefici, come se ci si volesse sbarazzare di una zanzara utilizzando una bomba atomica. Per altri ha rappresentato una mossa azzardata ma necessaria per permettere al personale di arginare la falla.
Alcuni ricercatori americani hanno voluto indagare proprio quest'ultimo punto, per capire se il solvente abbia effettivamente fatto la differenza.
Gli effetti del solvente. Uno studio coordinato dalla Woods Hole Oceanographic Institution, società privata indipendente, e finanziato dalla Gulf of Mexico Research Initiative e dalla National Science Foundation, ha dimostrato che il contestato provvedimento si rivelò a suo modo “efficace”. Le virgolette sono d’obbligo perché c'è appunto anche un rovescio della medaglia: l'inquinamento prodotto dallo stesso Corexit.
Il solvente è stato rilasciato in una zona molto vicina al punto da cui, in quel momento, fuoriuscivano 7.500 tonnellate di petrolio e 2.400 tonnellate di gas naturale al giorno: l’equivalente di 57.000 barili di greggio e 92 milioni di metri cubi di gas.
Il team di ricerca ha ordinato e analizzato i dati raccolti dai campioni di acqua e di aria tra il 3 giugno e il 15 luglio 2010, il periodo in cui il solvente è stato utilizzato. In seguito è stata condotta una simulazione computerizzata basata sull'ipotesi che il solvente non fosse stato utilizzato.
I risultati hanno indicato chiaramente che il solvente ha avuto un cruciale effetto positivo sulla qualità dell’aria. Il Corexit ha prodotto la condensazione dei miasmi di petrolio in microgocce, in volume 30 volte più piccole del normale. In questo modo i gas nocivi si sono dissolti più rapidamente, restando intrappolati in acqua. L'elaborazione dei dati ha mostrato che si è verificata una diminuzione della concentrazione di sostanze chimiche organiche nell’aria del 30% e che la concentrazione di benzene in atmosfera si è ridotta di 6.000 volte, cosa che ha indubbiamente semplificato l'intervento degli specialisti.
Una vittoria a metà. È stata però una vittoria di Pirro, una battaglia vinta a un prezzo molto alto. Gli stessi ricercatori che hanno condotto lo studio, pubblicato su PNAS, hanno dichiarato che la ricerca non rappresenta la conclusione delle indagini sull’uso dei solventi e che la valutazione positiva non è un "via libera" all'uso di simili mix chimici.
Lo studio è parte di un più ampio lavoro di analisi degli strumenti e dei metodi di mitigazione dell'impatto delle perdite, ancora in corso: tutti gli elementi positivi e negativi dell’uso di solventi e disperdenti devono essere presi in considerazione, prima di arrivare a un giudizio completo.
Oggi, a sette anni dal disastro, continuano a essere pubblicati nuovi studi sui danni provocati sia dal petrolio sia dal solvente, che si sarebbe inserito nella catena alimentare della fauna marina, compromettendola.
Il dibattito nella comunità scientifica non accenna a placarsi, andando a toccare anche la sfera della politica americana. Di recente la National Academy of Sciences ha riunito un comitato composto da scienziati e rappresentanti del governo e delle industrie per valutare danni e benefici dell’utilizzo di solventi chimici in analoghe situazioni di emergenza. Molti sostengono che, così facendo, si passerebbe dalla padella alla brace, compromettendo ancora di più l’ambiente - mentre la British Petroleum continua a difendere la sua scelta e conferma che l'uso del Clorexit rientra tra le opzioni da considerare in caso di versamento di petrolio in mare.
Nel 2012 la BP dovette pagare una multa di 4,5 miliardi di dollari per il disastro della Deepwater Horizon. La multinazionale è stata condannata anche per avere ostacolato le indagini e per non avere fornito al governo statunitense dettagliate e corrette informazioni sul proprio operato nei giorni in cui si è consumata la tragedia ambientale. La stessa società con base a Londra è la responsabile incaricata di pulire le coste inquinate e di rimediare, per quanto possibile, ai danni arrecati all'ambiente.