Ecologia

Cresce la raccolta di abiti usati, ma servono regole certe

Necessarie per tracciare i flussi della raccolta e garantire la concorrenza e limitare l'illegalità

Roma, 16 giu. - (AdnKronos) - Il settore della raccolta e recupero degli abiti usati ha vissuto una forte crescita, passando dalle iniziali attività di beneficenza alla costituzione di una filiera industriale organizzata del riuso e riciclo: se nel 2009 si raccoglievano 72.000 tonnellate, oggi siamo a quota 110.000 con Trentino Alto Adige, Toscana e Basilicata che spiccano per essere le regioni più virtuose. Ma ci sono ancora margini di miglioramento per avvicinarsi agli standard europei: una media di 6 kg per abitante, contro i circa 2 italiani.

Sono i dati diffusi in occasione del convegno “Vestiti usati: dalla beneficenza al riuso e riciclo”, promosso dal Conau, il Consorzio nazionale abiti e accessori usati, in collaborazione con Anci e Fise Unire. Ad emergere, la richiesta di regole chiare e trasparenti per tracciare i flussi di materiali raccolti, garantendo concorrenza sul mercato e limitando le attività illegali. Sempre più spesso, infatti, si registrano attività di raccolta “border-line” che, a volte anche violando disposizioni normative, si basano su circuiti paralleli a quelli regolari e autorizzati per la gestione dei rifiuti tessili.

L’indagine promossa dal Conau sulle singole province italiane, registra il proliferare di cassonetti e contenitori, posizionati in aree private aperte al pubblico, e a volte anche su strada, soprattutto nei piccoli comuni, in quelli ad alta densità abitativa o in quelli vicini a centri di raccolta non autorizzati (Veneto e Friuli Venezia Giulia). In alcuni casi, la raccolta viene pubblicizzata tramite etichette sui contenitori che richiamano finalità di natura umanitaria.

Secondo l’analisi, tali contenitori sono stimati intorno alle 4.000 unità, alle quali si aggiungono le raccolte “porta a porta”, per un totale di 25.000 tonnellate annue raccolte (che corrispondono a circa il 25% del circuito ufficiale). Diversi i rischi di questa situazione: non è assicurato il rispetto delle normative riguardanti raccolta e successiva gestione, manca la tracciabilità e quindi la certezza della destinazione dei materiali raccolti, diminuisce la quantità (e quindi i proventi) di rifiuti tessili intercettati dal Comune e dall’azienda incaricata della raccolta, mentre i soggetti che organizzano queste raccolte sopportano costi inferiori a quelli degli operatori “ufficiali”.

“E’ necessario che si proceda in tempi rapidi alla definizione del decreto previsto dal Testo Unico Ambientale - dichiara il presidente del Conau Edoardo Amerini - per fornire un riferimento univoco e preciso su tutto il territorio nazionale per la disciplina delle attività di recupero e riuso degli abiti usati, con l’individuazione dei requisiti degli operatori e delle reti accreditate per la gestione degli stessi”.

Anche perché, come sottolinea il delegato Anci per l’Energia e i Rifiuti Filippo Bernocchi, “la filiera del recupero della frazione tessile può rappresentare per le amministrazioni un’occasione di sviluppo e crescita sia in termini di raccolta e riciclo sia in termini ambientali e sociali".

Secondo gli ultimi dati Ispra disponibili, nel 2013 sono state raccolte complessivamente 110.900 tonnellate di frazione tessile (+10% rispetto al 2012); tale risultato è frutto di una crescita costante in questi ultimi anni su tutto il territorio nazionale, in cui si è passati dalle circa 72.000 tonnellate del 2009 al dato attuale.

Mediamente ogni italiano conferisce nei cassonetti gialli una quantità annua di abiti usati pari a 1,8 kg, con il Nord che si attesta sui 2 kg/ab., il Centro sui 2,4 kg/ab. ed il Sud su 1,3 kg/ab. Tuttavia, a prescindere dall’area geografica di appartenenza, ci sono Regioni che registrano dati di raccolta molto positivi; è il caso del Trentino-Alto Adige, dove è pari al doppio della media nazionale, o della Toscana e della Basilicata dove supera abbondantemente i 2 kg e mezzo ad abitante.

16 giugno 2015 ADNKronos
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