Nel 2020 l'Overshoot Day, il Giorno del Sovrasfruttamento della Terra, arriverà in ritardo, in controtendenza rispetto al passato. Se di solito la data di inizio ufficiale del nostro debito con il Pianeta cade ogni anno qualche giorno prima - nel 2019 era il 29 luglio - nell'anno della peggiore pandemia della storia moderna si presenterà tre settimane dopo, il 22 agosto 2020. Sono gli effetti della contrazione economica dovuta ai lockdown e non, purtroppo, di una consapevole trasformazione dei modelli di consumo.
Secondo il Global Footprint Network, un'organizzazione internazionale non-profit impegnata nella promozione di stili di vita più sostenibili, la COVID-19 ha provocato, rispetto al 2019, una riduzione del 9,3% dell'impronta ecologica dell'umanità tra il 1 gennaio e il 22 agosto 2020. L'impronta ecologica indica la quantità di superficie terrestre e acquatica necessarie a produrre tutte le risorse che l'umanità consuma, e ad assorbire i rifiuti o le emissioni che produce (qui il link per calcolare l'impronta ecologica personale).
Una situazione inedita. Questo scarto da un anno all'altro è il più netto dall'inizio degli anni '70, da quando si calcola l'Overshoot Day. Nel corso dei decenni ci sono stati fattori in grado di spostare in avanti la data del Giorno del Sovrasfruttamento della Terra, come la crisi economica del 2008, ma il trend generale non si era mai invertito come quest'anno. L'Overshoot Day indica il giorno in cui l'umanità ha consumato tutte le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare in un anno. Dal 22 agosto a fine 2020 vivremo consumando cibo e legname, energia e spazio che la Terra non aveva "messo a bilancio", di fatto accrescendo il deficit ecologico con il Pianeta. A far slittare in là la data sono stati soprattutto la riduzione delle emissioni di CO2 e la diminuzione della raccolta di materiale forestale.
Stagnazione. Rispetto allo scorso anno, la parte di impronta ecologica dovuta alle emissioni di carbonio è calata del 14,5%. Per determinare questa riduzione in modo più preciso, l'arco di tempo compreso tra il 1 gennaio e il 22 agosto è stato suddiviso in tre segmenti: gennaio-marzo, periodo per il quale l'Agenzia Internazionale per l'Energia (AIE) aveva già rilasciato un'analisi sulla riduzione di consumi energetici ed emissioni; aprile-maggio, la fase di lockdown più stringente in tutto il mondo; e il periodo da giugno sino all'Earth Overshoot Day, nel quale stiamo assistendo a un graduale alleggerimento delle chiusure.
L'impronta dovuta al consumo di legname e altri prodotti forestali è calata invece dell'8,4% dal 2019, per ridotta domanda di materiali da costruzione nei mesi di lockdown e nel prossimo futuro, che determina una minore pressione sulle foreste.
Durante la pandemia, la vegetazione ha subito sollecitazioni di altro tipo: in alcuni Paesi, si è assistito al ritorno alle aree rurali di lavoratori impegnati nelle città e a una richiesta locale di risorse agricole e forestali; in altre aree, la poca sorveglianza ha fatto aumentare deforestazione e bracconaggio. Ma sul bilancio finale ha pesato di più la contrazione economica con il calo della domanda di legname.
la verdura lasciata a marcire. Infine, anche se la pandemia ha avuto un forte impatto sul sistema alimentare mondiale, l'impronta ecologica legata alla produzione e al consumo di cibo non sembra globalmente cambiata. La chiusura di stabilimenti, ristoranti, bar, mense ha fatto sì che la maggior parte delle persone mangiasse a casa, riducendo gli sprechi di cibo; ma dal lato della produzione, l'impossibilità per i lavoratori agricoli di attraversare le frontiere e i focolai epidemici nati in molti impianti di lavorazione della carne hanno creato interruzioni in alcuni punti della catena di raccolta e distribuzione di cibo, comportando enormi sprechi alimentari da un lato e malnutrizione diffusa dall'altro. Tirando le somme, l'impronta ecologica alimentare non è variata in modo significativo, anche se la pandemia ha evidenziato grosse criticità nei sistemi alimentari anche delle economie più avanzate.