Quando pensiamo alle emissioni inquinanti, le immagini che generalmente ci vengono in mente sono quelle di aerei, industrie e automobili. Tuttavia esiste un settore che ha un'impronta ecologica equiparabile (e in alcuni casi superiore) a trasporti ed energia: quello dell'elaborazione e la conservazione dei dati digitali. Pensiamo in particolare a file inutili come quelli dei dark data − letteralmente dati oscuri −, che vengono salvati nel cloud e mai più utilizzati (ad esempio foto quasi uguali o documenti ormai obsoleti).
Conservare nella memoria digitale tutti questi dati ha un costo ambientale che non possiamo non considerare ora che miriamo a produrre zero emissioni nette (net zero). Più che i singoli cittadini, sono le grandi aziende a dover ripensare l'organizzazione dei propri dati digitali, eliminando file inutili per ripulire i server e, anche, l'atmosfera.
Perché i dati digitali inquinano? Vi sono tre fattori principali che incidono sull'impronta ecologica dei dati del cloud: il consumo elettrico necessario a far funzionare i server che conservano i dati; il consumo di acqua che serve a raffreddarli; e la vita utile dei suddetti server, che influisce sulla frequenza con cui vengono sostituiti (e con cui vengono prodotti i chip e i microchip che li compongono, processo che inquina parecchio).
Il 65% dei dati che generiamo non lo utilizziamo più, e fino al 15% è obsoleto: sono i dark data che occupano inutilmente spazio nel cloud.
I numeri. La maggior parte degli attivisti climatici, denuncia un articolo del World Economic Forum, mira a limitare le emissioni provenienti dai settori dei trasporti e dell'energia. I numeri, però, ci dicono che dovremmo preoccuparci allo stesso modo, se non di più, dell'inquinamento del mondo digitale: nel 2020 la digitalizzazione ha generato il 4% delle emissioni globali di gas serra, e i data center (in italiano centri elaborazione dati) sono responsabili del 2,5% delle emissioni di CO2 globali, più dell'industria dell'aviazione (2,1%).
Un settore in crescita. Questi numeri hanno ancora più peso se li guardiamo in prospettiva, pensando che il settore della digitalizzazione è in crescita: secondo le stime, quest'anno il mondo produrrà 97 zettabyte di dati – ovvero 97 migliaia di migliaia di miliardi di gigabyte. Nel 2025 questa cifra potrebbe quasi raddoppiare, arrivando a 181 zettabyte e consumando un quinto dell'energia globale.
Decarbonizziamo il digitale. È dunque fondamentale iniziare a parlare di decarbonizzazione digitale, intesa come riduzione dell'impronta di carbonio dei dati digitali. Le grandi aziende sono le prime a dover iniziare a ridurre la propria impronta ecologica digitale, dal momento che si stima che attualmente producano giornalmente un miliardo trecento milioni (1.300.000.000) di gigabyte di dark data, emettendo una quantità di gas serra pari a oltre tre milioni di voli Londra-New York.