Uno degli strumenti più potenti che abbiamo a disposizione per studiare il clima è il ghiaccio, in particolare quello che galleggia nei mari alle alte latitudini: l'acqua solida è molto sensibile ai cambiamenti di temperatura ed è un elemento fondamentale per la sopravvivenza degli ecosistemi polari, oltre al fatto che il suo scioglimento causerà nei prossimi anni un innalzamento sensibile del livello del mare. Il problema del ghiaccio, però, è che si forma e si scioglie in continuazione, al punto che i più vecchi blocchi galleggianti di tutti gli oceani non hanno più di quattro anni: per studiare la copertura glaciale nel passato bisogna rivolgersi a degli "intermediari". Un nuovo studio pubblicato su JGR Oceans ne utilizza uno che non era mai stato sfruttato prima: il legno, in particolare pezzi di legno alla deriva, che staccati da un albero sono finiti nel mare Artico.
Il viaggio del legname. Il ciclo di vita di uno di questi pezzi di legno è facile da spiegare, e dipende, come molte altre cose nell'Artico, anche dal ghiaccio. I fiumi che si trovano alle alte latitudini di Europa e Nord America fanno da collettori per una grande quantità di legno: rami staccati, ma anche interi alberi che cadono e vengono trasportati dalla corrente verso il mare. Quando fa abbastanza freddo, questi pezzi di legno possono finire intrappolati in un pezzo di ghiaccio, che comincia a vagare per l'oceano; molti di questi relitti, trasportati dalle correnti artiche, vengono spinti fin sulle coste delle Svalbard, dove possono rimanere indisturbati (e ancora congelati) per centinaia di anni. Il team di ricerca che ha condotto lo studio è andato a cercare proprio questi ghiaccioli legnosi.
Più ghiaccio = più legno = meglio. Per tre estati consecutive, tra il 2016 e il 2018, Georgia Hole (University of Oxford) e la sua squadra hanno raccolto questo legname dalle spiagge delle isole Svalbard (Norvegia). Dopodiché hanno analizzato gli anelli di centinaia di campioni per stabilire di quali alberi si trattasse e hanno confrontato i risultati con un database che raccoglie tutte le nostre conoscenze sugli alberi delle foreste boreali. In questo modo i ricercatori sono riusciti a stabilire, per ogni pezzo di legno, la provenienza geografica e l'età, scoprendo così di avere per le mani materiale che risale anche a 500 anni fa.
I ricercatori hanno poi integrato questi dati con quelli satellitari relativi alla presenza e quantità di legname relitto negli oceani oggi, e con le osservazioni storiche registrate da pescatori e cacciatori di foche dal 1600 a oggi.
I risultati ci dicono che con l'aumento delle temperature si forma sempre meno ghiaccio, e dunque anche il legname relitto può viaggiare di meno: negli ultimi trent'anni c'è stato un "crollo degli arrivi" - il legno continua a finire nei fiumi e poi nei mari, ma senza la protezione del ghiaccio viaggia di meno e si disintegra prima.
Un altro dato interessante, e che conferma indirettamente i risultati recenti, è che tra il 1700 e il 1850, nel pieno della Piccola era glaciale, l'Artico brulicava letteralmente di legname relitto, perché negli oceani c'era molto più ghiaccio di oggi.