Le discussioni dei delegati di quasi 200 Paesi riuniti a Madrid per la venticinquesima Conferenza delle Parti dell'UNFCCC (COP25), la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ruoteranno soprattutto sulla questione - controversa - del mercato del carbonio, il sistema di commercializzazione dei permessi di emissioni dannose visto come soluzione, o per molti scorciatoia, per cercare di rimanere al di sotto di quei +2 °C (e preferibilmente +1,5 °C) dettati dagli Accordi di Parigi.
Non ci siamo. Nonostante le promesse globali di taglio alle emissioni, gli impegni nazionali di riduzione dei gas serra (i Nationally Determined Contributions, NDC) non sono sufficienti: secondo l'Emissions Gap Report, un rapporto annuale delle Nazioni Unite sul clima pubblicato il 26 novembre, senza un taglio netto degli inquinanti atmosferici di almeno il 7,6% all'anno dal 2020 al 2030, gli obiettivi di Parigi rischiano di rimanere soltanto sulla carta.
Dove eravamo rimasti. Alla Conferenza di Katowice del 2018 (COP24) i delegati di tutti i Paesi si sono accordati su una serie di regole condivise per misurare e riportare le emissioni di gas serra - in modo trasparente, accurato, completo, coerente e comparabile - in modo da monitorare il progresso degli obiettivi di riduzione. Nessun accordo tuttavia è stato raggiunto sul mercato del carbonio, un sistema previsto dall'Articolo 6 degli Accordi di Parigi, che dovrebbe permettere di scambiare quote di emissioni tra Paesi per far quadrare i conti globali sui tagli di gas serra.
Troppo buono! Due sono i sistemi di scambio in discussione. Il primo prevede la possibilità per le nazioni molto virtuose sui target autoimposti, di vendere le emissioni "non emesse" ai Paesi che invece faticano a raggiungere i propri obiettivi ("se mi paghi, puoi inquinare anche per me"). Per esempio una nazione inizialmente intenzionata a ridurre le sue emissioni di 100 tonnellate di CO2 equivalente che fosse riuscita a ridurle di 110, potrebbe vendere quelle 10 tonnellate non finite in atmosfera a una nazione che destinata invece a sforare il proprio budget.
Secondo le voci critiche, il rischio è che questo meccanismo incoraggi a fissare obiettivi appositamente poco ambiziosi per risultare virtuosi e avere crediti da vendere. Per uscirne, occorrerebbe permettere la vendita dei crediti di carbonio solo a quei Paesi che abbiano fissato obiettivi di riduzione allineati con le promesse degli accordi di Parigi. Questi NDC sarebbero così ambiziosi, che solamente poche nazioni vanterebbero quote "avanzate".

virtuosi sì, ma lontano da casa. Il secondo meccanismo da regolamentare è quello che permette ai Paesi industrializzati di compensare le emissioni in eccesso finanziando programmi di riduzione di emissioni a base di energie rinnovabili nei Paesi in Via di Sviluppo (uno strumento previsto già oltre 10 anni fa nel Protocollo di Kyoto).
Tuttavia, secondo Carbon Market Watch, un'organizzazione non governativa che monitora i prezzi e gli scambi di carbonio, l'85% dei progetti finanziati nascerebbe e andrebbe avanti comunque, anche senza l'obolo dei ricchi Paesi inquinanti.
Come è facile immaginare, in questo caso la critica è che il sistema distragga dai reali obiettivi di riduzione: il rischio è di agevolare meccanismi che rendano più facile lavarsi le mani dagli impegni non presi, continuando a spostare il problema dall'unica soluzione a lungo termine, il disimpegno dai combustibili fossili. Secondo i sostenitori dei mercati di carbonio, invece, con regole più chiare il sistema potrebbe coprire una parte importante dei costi di mitigazione delle conseguenze già visibili dei cambiamenti climatici.