Ecologia

COP25: come è andato a finire il vertice sul clima di Madrid

COP25: le aspettative dei movimenti contro i cambiamenti climatici ispirati da Greta Thunberg si e l'immobilismo della politica. Ma non è tutto da buttare.

«Un anno e mezzo fa, non parlavo con nessuno a meno che non dovessi farlo per forza. Ma ora ho trovato una ragione per parlare» ha esordito Greta Thunberg l'11 dicembre, nel suo discorso davanti ai delegati di tutto il mondo riuniti alla COP25 di Madrid. «Da allora, ho fatto molti discorsi e ho imparato che quando si parla in pubblico, bisogna iniziare con un fatto personale o emotivo per attirare l'attenzione. Dire cose tipo, "la nostra casa è in fiamme", o "voglio che abbiate paura" o "come osate". Ma oggi non lo farò, perché poi quelle frasi sono l'unica cosa su cui ci si concentra. Le persone non ricordano i fatti, che sono l'unica ragione per cui ho deciso di dire quelle frasi, e non abbiamo più tempo per ignorare la scienza».

«Il pericolo più grande non è la mancanza di azione. Ma è quando i politici e gli amministratori delegati fanno finta che stia accadendo qualcosa di reale, mentre in realtà non sta accadendo nulla, a parte un abile lavoro di contabilità e di pubbliche relazioni».

E di fatti veri e propri, al momento, sembrano esserne accaduti pochi, al vertice sul clima appena concluso.

Greta Thunberg alla COP25. Durante il suo intervento al vertice sul clima di Madrid, l'attivista svedese è stata nominata "Persona dell'Anno" 2019 dal magazine Time. © Susana Vera/Reuters

Uno contro l'altro. Fino alla vigilia della chiusura, la COP25 è stata caratterizzata da profonde divisioni tra Paesi grandi emettitori e le Nazioni insulari, e tra Paesi in via di Sviluppo e Paesi industrializzati. L'Alleanza dei Piccoli Stati Insulari (AOSIS), un'organizzazione fondata per affrontare il riscaldamento globale dalla prospettiva dei Paesi più minacciati dalle sue conseguenze, ha puntato il dito contro Australia, USA, Canada, Russia, India, Cina e Brasile: i maggiori emettitori sono stati accusati di non aver portato piani aggiornati che consentano di rimanere entro i +1,5 °C di riscaldamento dall'era pre-industriale. La mancanza di ambizione - denuncia l'AOSIS - ha portato ad accettare compromessi che rischiano di minare la natura degli Accordi di Parigi e dimenticare il destino dei Paesi più vulnerabili all'innalzamento del livello dei mari.

L'India, supportata da Cina, Arabia e Saudita e Brasile, ha accusato i Paesi industrializzati di non aver tenuto fede agli impegni presi con il Protocollo di Kyoto: il riferimento è sia alle promesse di taglio delle emissioni, sia al sostegno economico che i Paesi maggiormente responsabili dei gas serra in atmosfera dovrebbero fornire ai Paesi in via di sviluppo entro il 2020. La proposta dell'India è che tutti gli impegni non mantenuti si facciano slittare a data successiva.

Rivoluzione lenta. La sensazione generale è che ogni Stato abbia tentato di tutelare i propri interessi, a scapito di una visione generale e prospettica. Eppure, non tutto è da buttare all'aria. Secondo gli addetti ai lavori, la transizione verso un futuro improntato all'uso delle rinnovabili è già iniziata, anche se la spinta a piani ambiziosi arriva soprattutto "dal basso" (per esempio, dai movimenti giovanili dei Fridays for Future). Esiste insomma uno scollamento tra l'attivismo e lo stallo politico che ha caratterizzato finora i negoziati dei vertici sul clima.

La riforestazione è considerata lo strumento più efficace per il sequestro di CO2 dall'atmosfera. Una giovane partecipante controlla il cellulare accanto a una serie di piante, negli edifici che hanno ospitato il vertice di Madrid. © Susana Vera/Reuters

Green deal. L'impegno politico più ambizioso è probabilmente quello dell'Unione Europea, i cui leader si sono accordati sul raggiungimento della neutralità del carbonio entro il 2050. «Vogliamo essere i capofila, vogliamo fare da modello» ha detto la Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen presentando il piano. «Siamo determinati nell'affrontare i cambiamenti climatici e trasformarli in un'opportunità per l'Europa».

Unica eccezione, la Polonia, che per la forte dipendenza dal carbone di buona parte del suo territorio non ha potuto impegnarsi da subito in questo obiettivo. Il Paese vi tornerà nel giugno 2020, «perché ha bisogno di più tempo per rivedere i dettagli» ha spiegato von der Leyen, precisando che «questo non cambierà la cornice temporale fissata dalla commissione».

La verde Europa. Per raggiungere emissioni nette zero entro la metà del secolo, gli obiettivi UE di riduzione dei gas serra saranno ritoccati al rialzo, passando dal precedente taglio del 40% al 50-55%. La Commissione rivedrà ogni legge e regolamento europeo per allinearlo ai nuovi traguardi. Dal punto di vista energetico, si punterà sullo sfruttamento "dell'enorme potenziale" dell'eolico offshore e su un piano per integrare in un unico sistema elettricità, gas e riscaldamento. Si investirà su un'economia di tipo circolare nei settori industriali più dipendenti dal carbonio (come quello dell'acciaio, del cemento e del tessile): l'intero ciclo di vita dei materiali sarà progettato per assicurarsi un minore utilizzo di materie prime, e la possibilità di riuso e riciclo dei prodotti.

Le operazioni di rinnovo degli edifici saranno raddoppiate, o triplicate, nel segno dell'efficienza energetica; si punterà a un sistema agricolo che usi quantità molto inferiori di pesticidi, fertilizzanti e antibiotici, sulla tutela della biodiversità e su piani di riforestazione. Nell'ambito dei trasporti, l'obiettivo è rivedere gli standard delle emissioni di CO2 dei veicoli: quelli attuali prevedono che entro il 2021, le nuove automobili debbano emettere meno di 95 grammi di CO2 per km, ma «occorre puntare a emissioni zero entro il 2030».

Per questo si investirà nell'accessibilità e nella facilità di rifornimento delle auto elettriche, e in alternative sostenibili di carburanti. Un altro obiettivo che suona quanto meno poco realistico è il raggiungimento di aria, suolo e acqua «liberi da inquinamento» entro il 2050.

I Paesi UE più dipendenti dai combustibili fossili potranno contare su un meccanismo di aiuto economico, per il quale saranno mobilitati 100 miliardi di euro. A progetti di tecnologie "climate-friendly" sarà dedicato anche il 35% del budget del programma UE di ricerca e innovazione Horizon Europe. Infine, c'è la controversa e contestata proposta di una "tassa di confine sul carbonio", una misura per convincere il resto del mondo a fare la sua parte - ma anche per proteggere l'industria UE da forme di concorrenza sleale.

Una goccia nel mare. Gli ambiziosi obiettivi europei gestiranno comunque soltanto il 9% delle emissioni globali, in una delle regioni più economicamente avanzate del Pianeta. Secondo il panel scientifico sul clima delle Nazioni Unite, occorre raggiungere ovunque l'obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050, per avere almeno l'opportunità di fermare il global warming a 1,5-2 °C.

14 dicembre 2019 Elisabetta Intini
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