Fotogallery - Quando il sole batte il nucleare
La settimana del clima di Durban è terminata con 36 ore di ritardo. L'Unione Europea, pur di salvare i negoziati, ha accettato un accordo ponte al 2015. Tutto rimandato per la riduzione della CO2, ma almeno non c’è stata la rottura. L'Italia protagonista, anche nel privato.
“Kyoto 2: prolungamento degli impegni già presi per salvare il clima”
Accordo raggiunto - Ha chiuso i battenti all'alba di domenica la 17/a Conferenza mondiale sul clima di Durban dalla quale doveva uscire l'accordo sulla riduzione del CO2. Il famoso Protocollo di Kyoto scadrà, infatti, nel 2012 e va rinnovato per evitare che le emissioni di gas serra causino un aumento delle temperature superiore ai 2 gradi centigradi: una soglia che per molti scienziati è il punto di non ritorno che potrebbe causare danni irreparabili al nostro pianeta.
Negoziati “overtime” - I delegati dei 194 paesi che hanno partecipato alla COP17 hanno fatto realmente gli straordinari. La conferenza doveva terminare venerdì sera, ma sono state necessarie altre 36 ore per raggiungere un accordo. I telegiornali di mezzo mondo mandano in onda le immagini di delegati distrutti, che dormono sui divani e che bevono caffè come se fosse acqua fresca. Ne avevano bisogno per evitare il fallimento dei negoziati.
Kyoto 2 - Gli accordi di Durban, in realtà, sono due. Il primo è il cosiddetto “Kyoto 2”, il prolungamento degli impegni già presi per salvare il clima. Non vede più la partecipazione di Russia, Giappone e Canada. Un fallimento? Gli altri paesi, UE in testa, confermano invece il loro impegno per il periodo 2012-2015. Nel 2015, poi, si dovrà negoziare il secondo accordo, quello vero che non è stato raggiunto a Durban, nonostante i negoziati a oltranza. Ma non solo: se nel 2015 ci sarà davvero un nuovo trattato sul clima, l'accordo non entrerà in vigore prima del 2020. Nella migliore delle ipotesi, quindi, si andrà avanti con il “Kyoto 2” fino alla fine del decennio.
“Green Fund” - Tra le cose buone decise a Durban c'è la conferma del cosiddetto “Green Fund” nato l'anno scorso alla conferenza di Cancun, un fondo da 100 miliardi di euro messo a disposizione dei paesi in via di sviluppo. Soldi che serviranno soprattutto a mitigare gli effetti del riscaldamento globale. Verranno spesi, per esempio, per proteggere le coste delle piccole isole dall'innalzamento del livello degli oceani o per limitare i danni delle sempre più frequenti alluvioni nel sud-est asiatico.
Italia commenta - Il neo ministro dell'Ambiente italiano, Corrado Clini, che fino a poche settimane fa era il supertecnico del Ministero dell'Ambiente che si occupava della lotta ai cambiamenti climatici, ha partecipato personalmente ai negoziati di Durban.
Il suo giudizio sugli accordi raggiunti è positivo: "Siamo usciti dal cono d'ombra di Copenaghen. L'accordo supera i limiti del Protocollo di Kyoto e ha una dimensione globale, offrendo all'Europa, e soprattutto all'Italia, la possibilità di costituire la piattaforma per lo sviluppo con le grandi economie emergenti, Brasile, Cina, India, Messico e Sudafrica".
Legambiente - Gli ambientalisti, invece, vedono il bicchiere mezzo vuoto. Legambiente commenta, senza troppo entusiasmo, con queste parole: "Purtroppo nel pacchetto di decisioni adottate a Durban i governi non sono stati in grado di raggiungere anche un accordo su come colmare il cosiddetto "gigatonne gap" ossia il divario tra gli attuali impegni di riduzione delle emissioni e quelli necessari per contenere il surriscaldamento globale al di sotto dei 2 gradi centigradi".
WWF - Il WWF è ancora più critico: “Dopo due settimane di trattative e un’ulteriore giornata di attesa, i governi del mondo hanno raggiunto una timida intesa su un futuro accordo globale sul clima, ma mancano ancora l’ispirazione e l’ambizione necessarie per affrontare il cambiamento climatico e dare speranza a centinaia di milioni di persone che in tutto il mondo soffrono e continueranno a soffrire per gli impatti disastrosi del clima”. Secondo il WWF il rischio che corre il pianeta, mentre i governi prendono tempo, è che la temperatura salga di ben quattro gradi centigradi e non di due.
Progetti made in Italy - Oltre ai grandi patti generali e validi per tutti, o quasi, a Durban sono stati stretti anche diversi “piccoli” accordi commerciali per lo sviluppo di singoli progetti interessanti. Due di questi hanno a che fare anche con aziende italiane. La prima è Enel, che partecipa insieme ad altri big internazionali al gigantesco progetto del parco solare di Ouarzazate in Marocco. Si tratta di un impianto da 500 MW di potenza, con tecnologia solare termica a concentrazione. La stessa utilizzata da Enel in Sicilia, a Siracusa, nel progetto sperimentale “Archimede”. Il parco di Ouarzazate, come si è saputo durante la COP17, ha ricevuto 200 milioni di dollari di finanziamento dalla Banca Mondiale. Il secondo accordo è quello firmato da Moncada Energy con il governo del Sud Africa e prevede la costruzione di 70 MW di fotovoltaico, per un costo totale di circa 200 milioni di euro. Il governo sudafricano ne metterà il 35%.
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