Roma, 14 ott. (AdnKronos) - L'agricoltura globale contribuisce al cambiamento climatico con il 35% delle emissioni di anidride carbonica, metano e protossido di azoto: solo l’allevamento zootecnico produce il 18% dei gas serra. Non solo. La produzione di cibo divora il 38% dei territori e il 70% dell’acqua consumata. E’ quanto ricorda il Wwf in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione che si celebra domenica 16 ottobre in tutto il mondo.
Alla luce di questi dati diventa prioritario ridurre drasticamente tali impatti negativi per un'"agricoltura alleata della natura", garantendo allo stesso tempo nutrimento alla popolazione della Terra che è in continua crescita (dagli attuali oltre 7,3 miliardi giungeremo nel 2050 ai 9,7 miliardi - stima Onu).
Paradossalmente, l’agricoltura oltre a contribuire fortemente al riscaldamento globale è anche tra i settori più colpiti dal cambiamento climatico. Inoltre, considerato che larga parte della popolazione dei Paesi in via di sviluppo si guadagna da vivere grazie all’agricoltura, un clima più instabile rischia di danneggiare gravemente sia gli approvvigionamenti di cibo sia lo sviluppo sociale ed economico di molte zone della Terra.
"L’obiettivo che il mondo si deve dare è quello di creare sistemi alimentari fortemente integrati con la vitalità dei sistemi naturali e della biodiversità e che producano cibo con il minor danno per l’ambiente e il clima. Pensiamo all'agricoltura come opportunità e non come minaccia dell'ambiente, come sino ad oggi è avvenuto", dichiara Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia.
Secondo i più recenti studi sulla Human Footprint (la modificazione e trasformazione dei sistemi naturali dovuta alla pressione umana visibile dai satelliti che scrutano il nostro Pianeta per questi scopi) il 75% della superficie delle terre emerse - ricorda il Wwf - è in qualche modo toccato da una presenza umana misurabile. Se escludiamo Groenlandia e Antartide, attualmente coltiviamo il 38% delle terre emerse, 60 volte quella occupata da strade ed edifici. L'agricoltura ha già distrutto o trasformato radicalmente il 70% dei pascoli, il 50% delle savane, il 45% delle foreste decidue temperate e il 25% delle foreste tropicali.
Dall'ultima era glaciale nessun altro fattore sembra aver avuto un impatto tanto distruttivo sugli ecosistemi. La produzione di cibo influisce sulla CO2 atmosferica sia indirettamente per via dell’uso di combustibili fossili per le attività agricole, il trasporto o la refrigerazione degli alimenti, sia tramite la deforestazione spesso indotta dalle espansioni delle coltivazioni.
Pesante il contributo della zootecnia, soprattutto bovina: alla produzione di carne e derivati è imputato quasi un quinto delle emissioni globali di gas serra. Basti pensare che una singola mucca può produrre, a causa della popolazione microbica presente nel rumine, dai 100 ai 500 litri di metano al giorno.
Il metano è oltre 20 volte più potente dell’anidride carbonica come determinante dell’effetto serra. Produzione di mangimi e nuovi pascoli hanno impatti gravissimi sulla deforestazione (in America Latina il 70 % della Foresta Amazzonica è stata trasformata in pascoli).