Chi sperava che il primo G7 dell'Era Biden consegnasse al mondo un rinnovato impegno contro la crisi climatica è rimasto deluso. Dall'incontro tra le sette economie più avanzate a Carbis Bay, in Cornovaglia (Regno Unito), sono emerse alcune dichiarazioni di intenti ma ben poca concretezza su questioni cruciali come decarbonizzazione, aiuti economici e tutela della biodiversità. Vediamo più nel dettaglio che cosa si è deciso, e quali sono state le molte occasioni perse.
Le promesse. I leader di Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti hanno raggiunto il primo accordo collettivo per dimezzare le emissioni dannose entro il 2030, al di là degli impegni presi dai singoli Paesi e dall'Unione Europea nei mesi scorsi. Per riuscire in questo intento hanno dichiarato che non destineranno più finanziamenti internazionali a progetti che prevedano l'utilizzo di carbone come combustibile, che non garantiscano allo stesso tempo tecnologie per la cattura e lo stoccaggio delle emissioni.
Almeno a parole c'è la volontà di puntare a una produzione di energia prevalentemente decarbonizzata entro la fine di questo decennio, e per alcuni osservatori, visto che la carbon capture technology è appena all'inizio, l'espressione infine decisa obbliga a rinunciare al carbone a prescindere. Ma davvero dobbiamo contare sulle nostre mancanze, per una svolta seria?
Nessuna data. Un altro problema è la vaghezza del comunicato finale, che esprime la volontà di "migliorare rapidamente le tecnologie e le politiche che accelerino la transizione dal carbone in assenza di sistemi per la cattura delle emissioni", ma evita accuratamente di specificare quando questo accadrà. Non c'è nessuna data ma solo un fumoso rapidamente, tutto quello che i Paesi responsabili di un quarto delle emissioni globali sono riusciti a produrre in quattro giorni di summit.
Nonostante le pressioni del Regno Unito, che ha insistito per inserire una data precisa per il definitivo abbandono del carbone come fonte energetica nel decennio del 2030, non è stato inserito alcun limite temporale sulla dismissione della principale fonte di emissioni di CO2. Intanto, secondo l'International Energy Agency, la domanda di carbone è destinata ad aumentare del 4,5% quest'anno, per la ripresa economica post-covid.
Se non si impegnano loro... La stessa IEA aveva di recente messo in guardia sulla necessità di smettere immediatamente di approvare la costruzione di nuovi impianti a carbone o di estrazione di petrolio per scongiurare le più devastanti conseguenze del global warming. Secondo gli osservatori politici, questa assenza di leadership rischia di togliere pressione alla Cina, responsabile del 28% delle emissioni globali di gas serra e fortemente dipendente dal carbone per la produzione di energia.
Il vuoto decisionale delle potenze del G7 fornirà al Dragone una ragione in più per non farsi carico di un taglio delle emissioni a lungo scaricate in atmosfera dall'Occidente.
Aiuti insufficienti. Come si vede le premesse per arrivare alla COP26 di Glasgow con ulteriori impegni di riduzione delle emissioni sono saltate, anche per un altro motivo. Gli aiuti stanziati per aiutare i Paesi a medio e basso reddito a sviluppare fonti di energia pulita e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici sono stati giudicati astratti e poco ambiziosi. C'è un accordo affinché ogni membro del G7 aumenti il proprio contributo per arrivare a una cifra complessiva di 100 miliardi di dollari all'anno (84 miliardi di euro) fino al 2025 da destinare a questo scopo, ma solo due Paesi (Canada e Germania) hanno messo sul tavolo cifre concrete.
Una promessa analoga era già stata formulata nel 2009 e fino al 2020, ma è stata onorata solo in parte, per 80 miliardi di dollari (67,5 miliardi di euro) in totale, e comunque stanziati in forma di prestiti, molto difficili da restituire per chi avesso voluto utilizzarli. Considerati gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici, specialmente nei Paesi più poveri, oltretutto aggravati dalla pandemia, gli aiuti sul piatto sono «noccioline nella catastrofe», ha detto Malik Amin Aslam, Ministro del Clima del Pakistan.
L'elefante nella stanza. Come sottolineato in un pezzo su The Conversation, al G7 è mancato qualunque riferimento sulla responsabilità storica delle emissioni. Focalizzarsi su quelle attuali, in diminuzione rispetto al passato nei Paesi occidentali, non coglie il punto, perché il problema è quanta CO2 si è accumulata finora (dato che le conseguenze dell'emissione di CO2 in atmosfera si protraggono per migliaia di anni): «Una tonnellata di anidride carbonica emessa da un cotonificio inglese nel 1800 sta avendo esattamente lo stesso impatto sulla temperatura globale odierna di una tonnellata di anidride carbonica emessa da una centrale energetica vietnamita nel 2021».
Una seria assunzione di responsabilità alla Conferenza delle Parti sul Clima a Glasgow (novembre 2021) vedrebbe i Paesi del G7 dichiarare, in aggiunta alle emissioni attuali, qual è stato il contributo di queste emissioni al riscaldamento globale, qual è quello attuale e quale sarà quello futuro.
Biodiversità. Se non altro in Cornovaglia è stato fatto un passo avanti nel riconoscimento della perdita di biodiversità come una minaccia esistenziale di pari importanza all'emissione di gas serra. I leader dei G7 si sono impegnati alla tutela di almeno il 30% di suolo e di oceani entro il 2030 (attualmente sono tutelati come riserve naturali o formule affini, solo il 17% delle terre e l'8% dei mari).
Tuttavia la biodiversità non è distribuita in modo omogeneo sul Pianeta: non basta che ogni Paese si concentri sul proprio 30%, bisognerebbe sforzarsi tutti insieme di proteggere le aree in cui si prevedono i risultati migliori, gli hotspot di biodiversità che sono stati mappati.
Proteggere la biodiversità significa coinvolgere, e non estromettere, le comunità locali, accertandosi che gli scrigni di biodiversità siano usati in modo sostenibile. Significa contrastare l'agricoltura intensiva, la deforestazione, le attività estrattive. Se ne riparlerà alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità di ottobre a Kunming, in Cina.