Sulla superficie dei ghiacciai si registrano livelli di radioattività anomali: è quanto emerge dai rilievi effettuati da un gruppo internazionale di ricercatori sui ghiacciai alpini dei Forni, in Italia, e del Morteratsch, in Svizzera. Lo studio, pubblicato su The Cryosphere, riporta i risultati delle analisi sulla crioconite, il sedimento scuro che si accumula sulla superficie dei ghiacciai durante la stagione estiva. Tale sostanza presenta un livello di radioattività più elevato di quanto ci si aspetterebbe di trovare in un ambiente incontaminato, come quello dei ghiacciai di alta montagna.
Le misure di radioattività sono state effettuate in gran parte all'Università di Milano-Bicocca, presso il laboratorio di radioattività del Dipartimento di Fisica, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Ambientali e della Terra. Hanno inoltre partecipato allo studio l'Istituito Nazionale di Fisica Nucleare, l'Università di Genova, l'Università Statale di Milano, l'Università di Pavia e altri istituti di ricerca polacchi e inglesi.
Dalle analisi è emerso che la crioconite custodisce radionuclidi naturali, come il piombo-210, e artificiali, di cui è possibile desumerne l'origine. Il cesio-137, ad esempio, rivela come le Alpi abbiano subito una forte contaminazione in seguito all'incidente di Chernobyl (1986). La presenza di altri radionuclidi, come gli isotopi di plutonio e americio o il bismuto-207, è invece riconducibile ai test nucleari in atmosfera degli anni '50 e '60 del secolo scorso.
Per la prima volta, queste evidenze sono state messe a confronto con i dati provenienti da ghiacciai situati in altri contesti geografici, dall'arcipelago delle Svalbard ai ghiacciai del Caucaso. Dal confronto è emerso che l'accumulo di radioattività nella crioconite è un processo comune a tutti i ghiacciai, indipendentemente dal contesto geografico: ciò che invece cambia, a seconda dell'area geografica, è la composizione radiologica della crioconite.
L'analisi dei dati ha consentito di ipotizzare quali siano i processi naturali che consentono l'accumulo di radioattività artificiale nella crioconite: sono le caratteristiche uniche degli ambienti glaciali a permetterlo. In estate, infatti, sulla superficie dei ghiacciai è presente abbondante acqua di fusione prodotta da ghiaccio che si è formato svariati decenni fa. La crioconite è ricca di sostanza organica, a cui molti radionuclidi sono particolarmente affini, ed è allo stesso tempo a stretto contatto con l'acqua di fusione: durante la stagione estiva la crioconite si comporta perciò come un filtro, accumulando le deboli tracce di radioattività presenti nell'acqua stessa.
All'interno dei singoli depositi crioconitici i livelli di radioattività non sono del tutto trascurabili, ma al momento non sembrano esserci evidenze di conseguenze ambientali e di salute per gli ecosistemi a valle dei ghiacciai.
Sono però necessari ulteriori studi: «La crioconite - spiega Giovanni Baccolo, ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra e dell'Ambiente presso l'Università di Milano-Bicocca - è uno dei materiali naturali più radioattivi che si possano rinvenire sulla superficie del nostro pianeta. Gli unici luoghi dove si trovano livelli di radioattività più elevati sono i siti in cui sono avvenuti incidenti o esplosioni nucleari. A differenza di muschi e licheni, solitamente utilizzati per valutare la contaminazione radioattiva, la crioconite ha mostrato di concentrare la radioattività da 10 a 100 volte di più, a seconda del radionuclide considerato». Ed ecco perché la crioconite è così importante per studiare il livello di integrità ambientale degli ecosistemi d'alta quota.