Ecologia

Canada e gas serra: l'inversione di rotta di Trudeau

A dispetto dello sbandierato impegno per il contenimento dei gas serra, il premier canadese, Justin Trudeau, sembra voler prendere decisioni molto contestate.

Dopo aver chiuso la sua ultima campagna elettorale a fianco di Greta Thunberg e dei ragazzi dei Fridays for Future, il premier canadese Justin Trudeau, volto liberale spesso contrapposto a Trump, si prepara a dare il nulla osta per la costruzione della più grande miniera di sabbie bituminose a cielo aperto della storia del Canada, con buona pace al contenimento dei gas serra. Ad accendere i riflettori sul probabile cambio di rotta, all'indomani della COP25 di Madrid in cui Trudeau ha ribadito la volontà di prendere impegni ambiziosi contro il riscaldamento globale, è un articolo pubblicato sul Guardian.

Ferita ecosistemica. La questione sul tavolo è l'approvazione del progetto di una gigantesca miniera di sabbie bituminose nel nord dell'Alberta, il territorio che contiene la maggior parte delle riserve di greggio del Paese. La cava dell'azienda Teck Resources coprirebbe una superficie di 292 km quadrati e arriverebbe a produrre 260 mila barili di greggio al giorno da qui al 2067. Il tutto, in un territorio al confine con quelli di alcune popolazioni indigene, nell'ultima regione al mondo abitata dal bisonte americano delle foreste (Bison bison athabascae) e a una trentina di km appena dal Wood Buffalo National Park, il più grande Parco Nazionale del Canada, tutelato dall'Unesco.

Estrazione complessa. Se entrasse in attività, la miniera da sola aggiungerebbe 6 megatonnellate (milioni di tonnellate) di gas inquinanti in atmosfera all'anno, e annullerebbe qualunque proposito del Canada di osservare gli Accordi di Parigi. Quello estratto dalle sabbie bituminose (un mix di argilla, sabbia, acqua e bitume) è spesso definito come il combustibile più sporco del mondo. Con l'aumento del prezzo del petrolio queste sabbie, le cui riserve mondiali si trovano soprattutto in Canada e in Venezuela, sono diventate più appetibili, anche se il processo estrattivo richiede grandi quantità di energia e risorse: occorre scavare nel suolo crateri profondi 40-60 metri per far affiorare il bitume, e utilizzare vapore e solventi per limitarne la viscosità.

Sabbie bituminose nella provincia canadese dell'Alberta, fotografate da un drone. © Shutterstock

Acque inquinate. Per estrarre un barile di petrolio dalle sabbie bituminose occorrono circa 3 barili d'acqua. Sempre che sia possibile il loro recupero superficiale: il 90% delle riserve di sabbie bituminose in Canada si trova a profondità maggiori. La maggior parte dell'acqua usata nei processi estrattivi, contaminata di sostanze cancerogene come arsenico e metalli pesanti, viene scaricata in loco, avvelenando popolazione ed ecosistemi locali.

La questione climatica. Come spiega Scientific American, la quantità di CO2 potenzialmente liberabile dalle sabbie bituminose dell'Alberta è enorme.

Ci sono circa 170 miliardi di barili di petrolio ricavabili soltanto dalle miniere di superficie, e altre 1,63 migliaia di miliardi che aspettano sottoterra. Se tutto il bitume in quelle sabbie venisse bruciato, aggiungeremmo altri 240 miliardi di tonnellate di carbonio in atmosfera, e solo l'Alberta contribuirebbe per 0,4 °C aggiuntivi al global warming. Se si bruciasse "solo" quello recuperabile con le tecnologie attuali, diffonderemmo in atmosfera 22 miliardi di tonnellate di CO2.

Sulla strada sbagliata. In Canada, anche senza questo progetto, ci sono altre 131 megatonnellate (milioni di tonnellate) di CO2 che attendono solo di essere emesse da miniere di sabbie bituminose già approvate e in attesa di costruzione. In pratica, mentre il mondo si interroga su come ridurre le emissioni, l'industria del petrolio e del gas ha già pianificato l'espansione per i prossimi decenni, in Canada e non solo. Secondo l'IPCC, per avere almeno la metà della possibilità di scongiurare scenari climatici catastrofici, la produzione di petrolio dovrebbe calare del 37% nei prossimi 10 anni e dell'87% entro il 2050. Tutti i Paesi dovrebbero iniziare già ora a invertire la rotta, e non solo a parole.

20 dicembre 2019 Elisabetta Intini
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