Tempi duri per i buongustai: secondo un rapporto pubblicato dall'Università di Melbourne, il global warming (riscaldamento globale) potrebbe infatti incidere non solo sulla quantità di scorte alimentari disponibili da qui al prossimo futuro, ma anche sui sapori che conosciamo e, in ultima analisi, sui nostri gusti in fatto di cibo. I cambiamenti climatici, dicono gli studiosi, hanno effetti negativi su piante e animali, che si ripercuotono poi sui sapori che portiamo in tavola.
Cibo che scotta. «È sicuramente un campanello d'allarme quando realizzi che, per esempio, il toast con la marmellata di lamponi che prepari per la colazione, nel giro di 50 anni potrebbe non essere più facilmente disponibile», commenta Richard Eckard, co-autore del paper e direttore del Primary Industries Climate Challenges Centre presso l'Università di Melbourne.
La relazione del gruppo australiano, che contiene un elenco di alimenti potenzialmente minacciati dall'aumento delle temperature, è focalizzata soprattutto sulle problematiche locali. Il più grande paese dell'Oceania (nonché il sesto più grande del mondo) ricava il 93% di quello che mangia da fonti interne ai propri confini, motivo per cui il global warming rischia di avere un impatto particolarmente significativo sull'approvvigionamento di cibo.
Piatto ricco... Eckard e i suoi colleghi ritengono che molti dei sapori cui siamo abituati potrebbero scomparire o essere fortemente modificati. Non è una scoperta dell'ultima ora, ad esempio, il fatto che molti ortaggi non amano il clima caldo e secco dell'Australia centrale. E così, a tavola gli australiani dovranno fare i conti con barbabietole scolorite o carote molli e insapori. Viceversa, in altre zone del Paese dove l'innalzamento della colonnina di mercurio va a braccetto con un costante aumento del tasso di umidità, il futuro delle patate appare a rischio a causa di possibili attacchi da parte della Phytophthora infestans (la peronospora della patata e del pomodoro), un microrganismo che spinge il tubero a marcescenza – ritenuto la ragione principale della grande carestia che colpì l'Irlanda tra il 1845 e il 1849.
Anche gli allevamenti non saranno immuni alle ondate di calore. Tra i vari effetti indesiderati, riporta lo studio, le temperature elevate andranno a influenzare l'appetito di bovini e avicoli e a risentirne sarà la qualità delle carni, che risulteranno più dure e stoppose. Alcuni dei cambiamenti più drastici potrebbero però avvenire nel settore dei latticini. I ricercatori stimano che le ondate di calore ridurranno la quantità di latte prodotto dal 10 al 25 per cento, con punte del 40 per cento in concomitanza di condizioni climatiche particolarmente estreme.