L’entità e la vastità delle uccisioni illegali di fauna selvatica sono difficili da quantificare sia per la diffusione di queste pratiche, sia per la mancanza di controllo - anche nella sensibile Europa. Dopo un primo rapporto uscito nel 2015, che riguardava il Mediterraneo, BirdLife International, che raccoglie e coordina decine di associazioni nazionali per la protezione degli uccelli (in Italia è la Lipu), ha pubblicato un secondo rapporto: A view to a kill (uno sguardo sulle uccisioni).
Il documento denuncia con forza la strage di uccelli nel resto d’Europa, fino al Caucaso. Già i dati relativi all'area del Mediterraneo erano estremamente preoccupanti: l’Italia faceva, per così dire, la parte del leone, con una stima che andava da 2 a 6 milioni di uccelli uccisi illegalmente.
Minuscole vittime. Ai dati del Mediterraneo si sono adesso aggiunti quelli dell’Europa del nord, del Centro e del Caucaso. I numeri sono agghiaccianti, sia pure con una grande incertezza - dovuta appunto alla difficoltà di controllo: le stime di BirdLife sono da 12 a 38 milioni di uccelli uccisi. A essere colpite sono soprattutto le specie più piccole, come i passeri domestici (4,7 milioni) e i fringuelli (2,9 milioni), le quaglie, le allodole.
Se queste specie sono ancora (e per poco) relativamente comuni, molte altre sono già rare e il bracconaggio diffuso e la caccia "formalmente legale" - ma in realtà senza alcun controllo, "sport" in cui eccellono i cacciatori italiani - colpiscono anche specie rare come il gobbo rugginoso (Oxyura leucocephala, un'anatra dallo strano becco blu) e la gallina prataiola (Tetrax tetrax). Quest’ultima, una piccola otarda molto elegante che vive anche in Italia, perde una media del 10% della sua intera popolazione a causa delle uccisioni illegali in Europa settentrionale e centrale, e nel Caucaso, ogni anno.


Spara al falco! Una divisione in gruppi di uccelli consente di scoprire che i più colpiti sono i passeriformi, seguiti dagli uccelli acquatici (anatre, oche e specie marine), da colombi e tortore, e dai rapaci. Le ragioni delle stragi sono molteplici. La grande maggioranza avviene per procurarsi cibo supplementare... ma non proteine indispensabili: solo minuscoli uccellini che andranno ad aggiungersi a menu e poi piatti come la famosa polenta e osei del nord Italia.
Un altro obiettivo è quello del "controllo" dei predatori: a farne le spese sono soprattutto rapaci diffusi come le poiane. Nella regioni prese in esame dal rapporto si uccidono ogni anno da 15.100 a 68.500 tra falchi e altri predatori, persino aquile, nibbi e falchi pescatori.
Una caccia assurda, in nome a volte di un "tributo" in uova, piccoli animali d'allevamento o pesci d'acquacoltura che gli allevatori non vogliono pagare alla natura, e che mette a rischio ogni tentativo di reintroduzione di queste specie.
Oltre i predatori, si controllano (cioè si massacrano) anche piccoli passeriformi che si nutrono dei prodotti della terra. Dimenticandosi che questi uccellini sono insettivori nel periodo della riproduzione, e sono quindi utilissimi nella lotta ai veri nemici dell’agricoltura.


Il centro del massacro. Le 20 peggiori zone di uccisioni illegale nell’Europa del nord e del Centro sono in sei Paesi: Armenia, Azerbaijan, Bulgaria, Georgia, Germania e Olanda. E le 6 zone dei peggiori massacri sono tutte situate in Azerbaijan.
Qualche Paese sta prendendo alcune misure per contrastare il fenomeno, e l’Unione europea agirà legalmente contro gli Stati membri che non impongono misure di protezione degli uccelli. La Convenzione per la protezione degli uccelli migratori ha formato una task force intergovernativa sulle uccisioni illegali, e alcuni Paesi stanno mettendo in atto strategie nazionali per affrontare il problema. Se non si agirà in tempo e con forza, sul prossimo censimento di BirdLife vedremo anche tanti R.I.P., riposa in pace amico pennuto.