Lo scorso 14 agosto, in Groenlandia, si è registrato un evento eccezionale. Nel punto più alto del Sermersuaq, la calotta polare che copre l'isola, a più di 3.000 m di altitudine, ha piovuto per parecchie ore, e per nove di queste la temperatura dell'aria è rimasta al di sopra dei 0 °C. Non era mai successo, almeno da quando osserviamo e registriamo le condizioni climatiche di uno dei luoghi più freddi della Terra: una regione che però, come nell'intero Artico, sta diventando sempre più calda. È una condizione che nei prossimi decenni potrebbe portare allo scioglimento di immense quantità di ghiaccio, con conseguenze sul clima globale e sulla circolazione delle correnti oceaniche ancora tutte da capire.
In anticipo. Uno studio pubblicato su Nature Communications dimostra che i tempi annunciati per questa catastrofe si sono accorciati: entro il 2060, con vent'anni di anticipo rispetto a quanto si pensava, in gran parte dell'Artico la neve sarà stata sostituita dalla pioggia.
La neve è oggi la forma di precipitazione dominante dell'Artico; le piogge sono rare, come dimostra l'eccezionalità di quelle dello scorso agosto. L'intera regione, però, si sta anche scaldando più rapidamente del resto del pianeta: altri modelli climatici in uso predicono che entro la fine del secolo, e più probabilmente entro il 2080, l'Artico diventerà una regione prevalentemente piovosa. Un cambiamento catastrofico che provocherà una serie di reazioni a catena a tutti i livelli dell'ecosistema, locale e globale.
Due esempi per tutti. La pioggia cade sulla neve, si congela e forma uno strato di ghiaccio che rende impossibile per gli erbivori raggiungere le piante: intere specie rischiano quindi di soffrire la fame. Più globalmente, più pioggia significa che il permafrost che copre la Groenlandia si scioglierà più rapidamente, rilasciando in atmosfere le enormi quantità di gas serra che al momento sono intrappolate nel suolo.
Questi eventi erano in preventivo già prima che uscisse questo studio, ma datati almeno al 2080, in base a precedenti modelli climatici. Lo studio citati usa invece un modello più raffinato e i cui risultati sono molto affidabili.
I risultati parlano di un anticipo di vent'anni circa sul momento in cui la neve lascerà il posto alla pioggia, ma anche del fatto che in alcune regioni dell'Artico questo accadrà anche se dovessimo riuscire a raggiungere l'utopistico obiettivo di ridurre le emissioni e bloccare l'aumento delle temperature globali ai famosi +1,5 °C.
Altre regioni artiche (soprattutto quelle dell'Europa occidentale e della Russia) potrebbero invece venire preservate e mantenere il loro carattere nevoso - se riuscissimo a raggiungere tutti i traguardi che ci siamo posti. E al momento, purtroppo, questo è proprio un grosso "se".