L'ultimo rapporto sulla qualità dell'aria dell'Agenzia Europea dell'Ambiente (Aea) non dà solo cattive notizie: se da un lato sottolinea tutti gli obiettivi ancora da raggiungere per diminuire l'inquinamento atmosferico nel Vecchio Continente, dall'altro snocciola dati che evidenziano come, in confronto a 17 anni fa, la situazione è migliorata.
Rispetto al 2005, nel 2020 le morti premature dovute all'esposizione al particolato fine (PM2,5, polveri di dimensioni uguali o inferiori ai 2,5 micrometri – pari a un trentesimo del diametro di un capello umano) sono diminuite del 45%, e i livelli di deposizioni azotate dannose sono stati superati nel 75% degli ecosistemi – il 12% in meno rispetto al 2005.
Piano d'azione: inquinamento zero. I dati, seppur più positivi rispetto a due decenni fa, non lo sono certo in senso assoluto, e la strada verso un'aria pulita è ancora lunga. Tra gli obiettivi fissati dall'Aea per il 2030, dettagliati nel Piano d'Azione "inquinamento zero", c'è quello di ridurre – rispetto al 2005 – del 55% le morti premature causate dall'inquinamento atmosferico e del 25% gli ecosistemi in cui l'inquinamento atmosferico minaccia la biodiversità.


Inquinamento e malattie. L'inquinamento non uccide velocemente come un colpo di pistola o un virus letale, ma penetra nel nostro organismo danneggiandolo lentamente: si stima che il particolato fine riduca di 2,2 anni la speranza di vita, senza contare le patologie croniche e le malattie mortali che causa (per approfondire).
Oltre al Piano d'Azione "inquinamento zero", lo scorso ottobre l'Aea ha proposto una revisione della direttiva sulla qualità dell'aria. Ha chiesto limiti più stretti all'inquinamento atmosferico (anche se nel caso del PM2,5 l'Oms è più rigida, e lo limita a 5 µg/m3 contro i 10µg/m3 previsti dall'Aea) e sottolineato il diritto di ogni cittadino a respirare aria pulita.