Roma, 19 giu. - (AdnKronos) - Sempre più scimmie finiscono la loro vita in un laboratorio di vivisezione. Lo rivela la Lav - Lega anti vivisezione, commentando i dati relativi al numero di animali utilizzati in Italia per fini scientifici e sperimentali nel triennio 2010-2012, pubblicati dal ministero della Salute.
"Le statistiche, pubblicate con cadenza triennale, mostrano un numero complessivo di animali utilizzati in lieve diminuzione (da 2.603.671 nel triennio 2007-2009 a 2.328.342 in quello che va dal 2010 al 2012) - rileva la Lav - ma sono numeri ancora alti, visto il quadro scientifico e legislativo europeo che prevede la promozione dei metodi alternativi alla sperimentazione animale e la chiara posizione contraria dell'opinione pubblica alla vivisezione".
Le specie più rappresentate continuano ad essere topi (1.547.246) e ratti (490.137), seguono pesci (114.631) e uccelli (83.411): animali largamente impiegati a causa del loro basso costo e perché facilmente maneggiabili, più che per ragioni strettamente scientifiche. Non sono esenti dalle statistiche i cani: "ben 1.516 di loro sono stati sacrificati in questo triennio in nome di una pseudo scienza", denuncia la nota.
Inoltre, analizzando nel dettaglio le specie utilizzate e l’ambito sperimentale di applicazione, emergono "considerazioni sconfortanti": "è in aumento il ricorso alle scimmie ceboidea (note comunemente come uistitì), specie regolamentata dal Decreto Legislativo in modo fortemente restrittivo e il cui utilizzo dovrebbe rappresentare una deroga eccezionale, di cui sicuramente non dovrebbe essere incoraggiato l’aumento. I primati non umani, come i cani, sono utilizzati per esperimenti fortemente invasivi che comportano alti e prolungati livelli di dolore, come studi di tossicità, indagini legate a problematiche nervose e mentali umane e al cancro".
"Questi numeri, già di per sè impressionanti, sono in realtà fortemente sottostimati - dichiara Michela Kuan, biologa e responsabile Lav vivisezione - perché non tengono conto di molte categorie rilevanti, come gli animali usati già deceduti, gli invertebrati o le forme non completamente sviluppate, oltre che essere raccolti su autocertificazione degli stessi laboratori.
"L’impegno delle Istituzioni verso la riduzione e la sostituzione degli animali nella ricerca - accusa la biologa - rimane solo sulla carta, come dimostrano queste statistiche, principio che non viene ascoltato per la mancanza di formazione, gap culturale e interessi economici, lasciando il nostro Paese ancorato a un modello fallimentare della fine dell’800. Non è possibile accettare ancora statistiche così alte che dimostrano la cecità della ricerca basata sull’obsoleto e antiscientifico modello animale, nonostante la diffusione dei metodi alternativi e la volontà dei cittadini che in parte, loro malgrado, la finanziano".