Ecologia

Il Sud America brucia

Tra la scomparsa della copertura forestale e la perdita di bioversità, spunta anche la preoccupante concentrazione di monossido di carbonio in atmosfera.

Quello che sta succedendo in questi giorni in Amazzonia è sotto gli occhi del mondo. Ed è vero che per una volta la colpa non è del cambiamento climatico, ma più semplicemente dell'avidità umana; ma è anche innegabile che i roghi nella foresta pluviale avranno un impatto forte sul clima, con la perdita di milioni di ettari di copertura vegetale e il rilascio in atmosfera di tonnellate di CO2. E le brutte notizie non finiscono qui, perché l'anidride carbonica è solo un pezzo del puzzle.

Il carbonio non è solo biossido. È di questi giorni, per esempio, una animazione della NASA che mostra in maniera inequivocabile come i recenti roghi stiano riempiendo l'aria sopra il Brasile di monossido di carbonio (CO), un gas inquinante che persiste a lungo in atmosfera, fino a un mese. L'animazione fa riferimento al periodo che va dall'8 al 22 agosto: in questi quindici giorni il satellite Aqua ha misurato, grazie ai suoi strumenti agli infrarossi, la variazione di concentrazione di monossido di carbonio a 5.500 metri di altitudine; le aree verdi dell'immagine indicano zone dove la concentrazione di CO è pari a 100 parti per miliardo (ppb), in quelle gialle il valore sale a 120 ppb e in quelle rosse si arriva a 160: come riferimento, la concentrazione media di monossido di carbonio nella nostra atmosfera è di 80 ppb.

Sud America, 15-22 agosto 2019: le concentrazioni di monossido di carbonio (CO)
Le immagini della NASA (vedi testo) mostrano la concentrazione di monossido di carbonio (CO) a 5.500 metri di altitudine. © NASA

Il monossido è cattivo. Ci sono due ordini di ragioni per cui concentrazioni così alte di monossido di carbonio sono una pessima notizia. Innanzi tutto perché parliamo di un inquinante letale: è vero che al momento si trova ad altitudini elevate, ma venti forti o altri fenomeni atmosferici potrebbero spingerlo verso il livello del mare; e qui inizierebbero i problemi: il CO è inodore, incolore e solo di poco più denso dell'aria; difficile da individuare, è il maggiore responsabile al mondo di morti per avvelenamento da gas.

Ci sono poi i suoi effetti indiretti sul clima: pur essendo un gas serra debole, può interagire chimicamente con altre sostanze presenti in atmosfera, gli idrossili , che per parte loro sono in grado di distruggere il metano legandovisi; il monossido glielo impedisce e dà invece vita a un'altra reazione, che ha come risultato finale la generazione di anidride carbonica e ozono: CO2 e O3, due dei principali gas serra.

Non che la CO2 sia da meno. L'inquinamento da monossido non deve distrarre da tutte le altre emergenze climatiche legate ai roghi, né la situazione in Amazzonia deve farci dimenticare le foreste del resto del mondo. È di questi giorni, per esempio, un articolo uscito su The Conversation (che a sua volta fa riferimento a un recente studio) a firma di Stefan Doerr, professore di geografia all'Università di Swansea (UK), che si concentra sugli effetti degli incendi nelle foreste boreali, nell'emisfero settentrionale, in particolare in Canada - spiegando che sono già più disastrosi di quello che si potrebbe pensare.

Perché non c'è solo la perdita di copertura vegetale da considerare: la maggior parte della CO2 di quegli ecosistemi è infatti concentrata nel suolo, in torbiere, paludi e altre terre umide che, quando prendono fuoco, rilasciano il gas in grandi quantità - fino a tre volte superiori a quelle generate dai roghi boschivi sovrastanti. Negli ultimi decenni, poi, la frequenza sempre crescente di incendi ha impedito agli alberi di rigenerarsi a sufficienza tanto da riassorbire la CO2 liberata, in un feedback negativo che richiede interventi urgenti di tutela, se non vogliamo perdere uno dei più importanti depositi di anidride carbonica del pianeta.

27 agosto 2019 Gabriele Ferrari
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