Se si potesse ridistribuire a livello planetario e con un criterio del tutto nuovo le colture sui terreni agricoli esistenti, si riuscirebbe a soddisfare la crescente domanda di cibo e di biocarburanti, che si faranno più pressanti nei prossimi decenni, anche a causa della crescita della popolazione mondiale - che comporterà maggiore richiesta di prodotti alimentari e di energia per produrli (e non solo).
Nello scenario futuro che pare oggi inevitabile è destinato ad aumentare anche lo stress idrico per le aree coltivate, da un lato a causa dei cambiamenti climatici, dall'altro per via della riduzione delle riserve idriche nelle falde più facilmente accessibili.


Le soluzioni proposte nell'ambito di un ampio studio pubblicato su Nature Geoscience sono le prime nel loro genere, da molti decenni, che analizzano il problema della produzione alimentare sia dal punto di vista della sostenibilità ambientale, sia da quello della disponibilità di cibo negli anni a venire - nella previsione di una produzione senza costose tecnologie.
Kyle Davis, coordinatore dei ricercatori che hanno condotto lo studio (Columbia University, Virginia University, Politecnico di Milano), riassume in una frase ciò che ha ispirato il lavoro: «Sul pianeta ci sono forti differenze e inefficienze per quel che riguarda il consumo dell'acqua, ciò che poi si riflette sulla produzione di sostanze nutritive. Tali inefficienze potrebbero essere eliminate se si scambiassero le colture che hanno una maggiore qualità nutrizionale e un minor impatto ambientale».
Più calorie e più proteine. Lo studio ha preso in esame le 14 colture che, insieme, fanno il 72% dell'intero raccolto del pianeta: arachidi, mais, miglio, palma da olio, colza, riso, radici, sorgo, soia, barbabietola da zucchero, canna da zucchero, girasoli, tuberi e grano. Il lavoro non ha invece considerato la frutta e la verdura in genere perché i dati sulla necessità di acqua di queste coltivazioni, nelle diverse aree del pianeta, non sono disponibili.
Se le colture prese in esame venissero ridistribuite come suggerito nello studio si potrebbero avere il 10% in più di calorie e il 19% in più di proteine. Lo studio afferma cioè chiaramente che si potrebbero alimentare 825 milioni di persone in più rispetto a oggi e nello stesso tempo consumare il 14% in meno di acqua piovana e il 12% in meno di acqua di falda.


Chi sale e chi scende. Ottimizzazioni e migliorie si potrebbero ottenere aumentando la produzione di arachidi, sorgo (un cereale privo di glutine) e tuberi (patate, topinambur e altri) mentre si dovrebbero ridurre la coltivazione di riso, frumento e canna da zucchero, che consumano molta acqua ma rendono poco in termini di calorie e proteine per ettaro (10.000 metri quadri).
La redistribuzione delle colture potrebbe portare a un risparmio del 20% dei consumi d'acqua per uso agricolo in 42 Paesi, molti dei quali già sotto notevole stress idrico, come l'Australia, l'India, il Messico, il Marocco e il Sudafrica.
Per altri 63 Paesi, tra i quali l'Etiopia, l'Iran, il Kenya e la Spagna, spesso fortemente dipendenti dalle importazioni alimentari per sfamare i propri cittadini, la redistribuzione delle colture potrebbe generare un aumento della produzione interna superiore al 20% sia in calorie sia in proteine.
I veri problemi da risolvere. Negli ultimi anni si sono trovate nuove soluzioni per ridurre l'uso d'acqua e potenziare le colture, ma nella maggior parte dei casi richiedono interventi tecnologici di alto livello che per molti Paesi sono semplicemente delle utopie, in mancanza di risorse economiche da dedicare alle nuove necessità produttive.
La redistribuzione delle colture risolverebbe a monte la questione: non richiede interventi tecnologici, ma un modo nuovo di fare agricoltura.


Tuttavia ci sono anche altri problemi, «da un certo punto di vista più complessi», sottolinea Kyle Davis, che fa notare come la ricerca non abbia voluto tenere conto delle barriere culturali e politiche, delle preferenze alimentari e dei modelli di consumo (ciò che si può genericamente indicare la politica della domanda e dell'offerta del mercato).
«Sono certamente elementi importanti», conclude Davis, ma l'aumento della popolazione da qui a 30 anni avrà un tale impatto ed eserciterà una tale pressione sociale che molti cosiddetti "problemi" si sgonfieranno. La vera emergenza sarà quella di produrre più cibo.