Surriscaldamento globale, crisi energetica, sovrapproduzione di CO2: sono i principali temi sui quali si sono confrontati la scorsa estate i leader del G8 durante il meeting di Copenhagen.
Anche se a detta di tutti gli osservatori il vertice è stato un fallimento perchè, complice la crisi, nessuno degli 8 paesi membri (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito, Russia e
Stati Uniti) ha voluto prendere impegni concreti, non sono mancati i buoni propositi: gli 8 Grandi si sono dati l’obiettivo di ridurre del 50% le emissioni di CO2 rispetto ai livelli del 1990 (circa 22,7 miliardi di tonnellate secondo i dati presentati nel Rapporto delle Nazioni Unite sul Programma di Sviluppo 2007-2008).
Ma a un anno di distanza si sta facendo qualcosa per raggiungere questo ambizioso obiettivo? Su quali temi si sta concentrando la ricerca? Focus.it ha fatto un giro nei laboratori di alcuni scienziati in diversi paesi e ha selezionato 5 tecnologie innovative che potrebbero contribuire a salvare il pianeta.
Nonostante il nome, che potrebbe ricordare qualche celebre tele-bidone sul genere "creme dimagranti", l’acqua secca esiste davvero. E secondo il Professor David Cooper dell’Università di Liverpool potrebbe rivelarsi una preziosa alleata nella lotta al surriscaldamento globale.
Si tratta di una sostanza composta al 95% da acqua che si presenta sotto forma di una polvere simile allo zucchero a velo. Ogni particella di questo materiale è costituita da una gocciolina di acqua ricoperta da silicio modificato ottenuto a partire da comune sabbia. L’involucro impedisce alle gocce di unirsi e tornare allo stato liquido: in questo stato l’acqua secca è in grado di assorbire gas, per esempio la CO2, formando ciò che i chimici chiamano "idrato".
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COME NATURA CREA
FACILE COME BERE UN BICCHIER D’ACQUA
A catturare l’elettricità statica dell’atmosfera per utilizzarla come fonte energetica ci hanno provato in tanti (il primo fu Nikola Tesla tra fine’800 e inizio ‘900), ma fino ad ora nessuno ci è riuscito.
Ci sono però molto vicini Fernando Galembeck e i suoi colleghi dell’Università Campinas, dell'omonima città brasiliana.
Obiettivo del loro studio è quello di mettere a punto dei pannelli che, analogamente ai fotovoltaici, siano in grado di assorbire e incanalare la corrente che si trova libera nell’atmosfera.
DALLA TEORIA ...
> spiega Galembeck. Gli scienziati brasiliani sono stati i primi a chiarire il meccanismo di formazione dell’elettricità statica.
Per anni si è creduto che le goccioline di acqua sospese nell'aria fossero elettricamente neutre, ma Galembeck e il suo staff in una serie di esperimenti di laboratorio hanno dimostrato che non è così.
I ricercatori brasiliani hanno utilizzato microscopiche particelle di silicio e fosfato di alluminio, elementi molto comuni nell'atmosfera, e hanno notato come la loro carica elettrica aumenta all'aumentare dell'umidità dell'aria. > spiega Galembeck. In particolare gli scienziati hanno notato come le particelle di silicio venendo in contatto con l’acqua assumono carica negativa, mentre quelle di fosfato di alluminio si caricano positivamente. Questa capacità dell’acqua di trasferire la carica elettrica ad altre particelle si chiama igroelettricità.
... ALLA PRATICA
I ricercatori contano ora di sviluppare dei collettori che, esattamente come le particelle metalliche sospese nell'aria, siano in grado di raccogliere la carica elettrica del vapore atmosferico e renderla disponibile per usi civili e industriali. Proprio come i pannelli solari, il cui rendimento è massimo nelle zone con alta esposizione al sole, i pannelli igroelettrici avranno le massime prestazioni nelle aree molto umide, come i tropici.
Queste strutture potranno inoltre catturare i fulmini che si abbattono sugli edifici e ridurre i danni da essi causati.
Galembec e il suo staff stanno già testando pannelli igroelettrici realizzati con metalli diversi nel tentativo di riuscire a imbrigliare e utilizzare l’energia elettrica prodotta da questi violenti fenomeni naturali.
Le più belle foto di fulmini.
Come è fatto un fulmine? Scoprilo in questo multimedia.
Sapevi che esistono anche fulmini...a palla?
Le ricerche che puntano ad utilizzare le alghe come elemento base per la produzione di biocarburanti sono numerosissime. Ma Mark Capron della PODenergy, azienda californiana specializzata nella green tech, ha un approccio del tutto nuovo.
La sua idea è quella di piantare delle grandi foreste di kelp, un’alga molto diffusa e utilizzata anche nella cucina giapponese, sulla superficie degli oceani. Queste, una volta cresciute, verrebbero raccolte in enormi stomaci di plastica installati qualche metro sotto il pelo dell’acqua.
IL RUTTINO DELLO STOMACO SINTETICO
Si tratta essenzialmente di grandi sacchetti dove troverebbero posto frotte di batteri capaci di "digerire le alghe". Da questo processo si otterrebbero 3 sostanze: metano, che verrebbe pompato direttamente a terra per gli usi civili e industriali, CO2, che verrebbe catturata per essere stoccata in depositi geologici, e sostanze di scarto che fornirebbero nutrimento ai pesci.
Secondo il ricercatore basterebbe coprire di kelp il 3% della superficie oceanica totale, circa per ottenere biometano sufficiente a produrre 400 milioni di MWh di energia, quanto consuma la California in un anno. E inoltre si eviterebbe di immettere nell’atmosfera più di 100 milioni di tonnellate di CO2, equivalenti a tutte le emissioni annuali del parco auto della Germania.
Inoltre, le alghe, fornendo nutrimento per i pesci farebbero aumentare di 200 milioni di tonnellate l’anno il volume del pescato e ciò basterebbe a soddisfare per 12 mesi le richieste dell’intero continente africano.
Ciò che Capron non spiega nel suo studio è cosa potrebbe accadere al clima e all'ecosistema marino se il 3% degli oceani (circa 1.000.000 di Km2) fosse ricoperto da alghe.
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Saranno gli incentivi pubblici, sarà la crisi economica, sarà una maggior coscienza ecologica, ma i pannelli fotovoltaici stanno, finalmente, diventando elementi piuttosto comuni nel paesaggio delle nostre città. Ma siamo sicuri che i tetti delle case siano il posto migliore dove installarli? Scott Brusaw, ingegnere elettrico di Sagle, nell’Idaho, pensa di no. Secondo lui il fotovoltaico potrebbe dare ottimi risultati se fosse incorporato nel fondo di strade e autostrade. É riuscito a convincere della bontà della sua idea la US Federal Higways Administration, l’ente che controlla la rete autostradale americana, che ha così finanziato la sua ricerca per sviluppare dei pannelli fotovoltaici abbastanza robusti da sopportare il passaggio di auto e tir.
VETRO A PROVA DI TIR
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Il sistema più semplice per rallentare il surriscaldamento del pianeta è quello di fermare i raggi solari prima che arrivino sulla superficie terrestre. E visto che strade e tetti delle case ricoprono dal 50 al 65% delle superfici urbane, perchè non sfruttarli per rimandare al mittente la rovente irradiazione solare?
BANALE & GENIALE
L’idea è venuta ai ricercatori del Lawrence Berkeley National Laboratory, secondo i quali basterebbe verniciare con colori chiari i tetti delle case e le pavimentazioni stradali di tutto il mondo per compensare l’aumento di temperatura causato negli ultimi due anni dalle emissioni di CO2 legate ad attività umane: oltre 56 miliardi di tonnellate secondo i dati della International Energy Agency.
Lo studio è stato condotto utilizzando i dati globali sulle caratteristiche della superficie terrestre messi a disposizione dal Goddard Space Flight Center della NASA, che contengono informazioni sulle temperature al suolo, sull’evaporazione e sulla topografia dell’intero pianeta.
Secondo gli scienziati la verniciatura con colori chiari aumenterebbe l’albedo, cioè la riflessione dei raggi solari, che in questo modo non surriscalderebbero case, strade e quindi l’aria circostante. I tetti bianchi ridurrebbero quindi anche l’effetto "isola di calore urbana" che arroventa le città durante l’estate rendendole molto più calde delle campagne immediatamente vicine. Non solo: case più fresche richiederebbero un minor impiego di energia per essere condizionate nella stagione estiva.
Il risparmio in termini di emissioni di CO2 sarebbe quindi indiretto e legato al risparmio di corrente elettrica.
DETTO? FATTO
> afferma Steven Chu, segretario di stato americano per l’energia, premio Nobel per la fisica e direttore per anni dei laboratori di Berkley.
Chu, che da anni invoca l’adozione di tetti bianchi, detti anche tetti freddi, lo scorso 19 luglio ha reso nota una direttiva secondo la quale tutti i nuovi edifici pubblici che ricadono sotto la sua sfera di autorità avranno coperture chiare, così come tutte quelle che nei prossimi anni andranno a sostituire le esistenti.
Ma quindi... vivremo in un mondo bianco? Soffriremo le allucinazioni tipiche di chi vaga sui ghiacciai? Nel dubbio meglio attrezzarsi con un paio di occhiali da sole.
Ecco come saranno le case del futuro
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