Cinque miliardi: tante sono le persone a cui, nel 2050, potrebbe mancare un regolare accesso all'acqua. A fotografare la preoccupante situazione è il Rapporto mondiale 2018 sullo sviluppo delle risorse idriche, pubblicato dall'Unesco e dal Programma UN Water delle Nazioni Unite alla vigilia della Giornata Mondiale dell'Acqua (giovedì 22 marzo).
Attualmente, 3,6 miliardi di persone abitano in zone in cui l'acqua scarseggia per almeno un mese all'anno, e la cifra è destinata a salire, con una popolazione mondiale che potrebbe arrivare a contare i 10,2 miliardi di unità entro metà secolo. Oggi utilizziamo in totale circa 4.600 km cubi d'acqua: il 70% se ne va per l'agricoltura, il 20% per le attività industriali e il 10% per consumi casalinghi. Tuttavia la domanda è destinata a crescere: negli ultimi 100 anni è aumentata di sei volte, e ogni anno sale dell'1%.
rimedi dal passato. Ma non tutto è perduto. La scarsità di riserve idriche, si legge nel documento, potrebbe essere combattuta tornando a tecniche naturali per intrappolare l'acqua nel suolo, nelle paludi e nella vegetazione, anziché ricorrere solamente a infrastrutture costruite dall'uomo, come bacini idrici artificiali, canali di irrigazione, impianti di trattamento delle acque.
Da sole, queste soluzioni "verdi" non possono risolvere un problema aggravato da sovrappopolazione e cambiamenti climatici; tuttavia in alcuni contesti, e in unione alle soluzioni ideate dall'uomo, hanno dimostrato di saper aumentare la produzione agricola del 20%. Entro metà secolo, 1,7 miliardi di persone, sia in zone rurali, sia in aree cittadine, potrebbero beneficiare di queste tecniche per la valorizzazione dell'acqua costruite in stretto rapporto con il paesaggio.
Esempi virtuosi. Il report ne cita alcune (come piccole strutture per la raccolta di acqua piovana o tradizionali pratiche di preservazione del terreno) che hanno già avuto successo e risollevato le sorti di villaggi colpiti dalla siccità nel Rajastan indiano o nel bacino di Zarqa, in Giordania.
In Cina, il governo pianifica la creazione di 16 città-spugne, che dal 2020 dovrebbero riuscire a riciclare il 70% dell'acqua piovana grazie a una migliore permeabilità del suolo e al ripristino di adiacenti paludi. Questi ecosistemi potrebbero servire anche a contrastare inondazioni e siccità, tra gli effetti più comuni ed estremi del riscaldamento globale.