Latte e biscotti? Dal punto di vista ambientale, non è una scelta particolarmente ecosostenibile. L'impronta ecologica delle mucche, in confronto a quella di altri capi di bestiame, è notevole (500 litri di metano emesso in atmosfera da ciascuna mucca in una giornata, 35 litri di gas per ogni litro di latte prodotto). Senza contare l'impoverimento dei terreni destinati al pascolo. Ma chi non fosse disposto a rinunciare a una bella tazza di latte fumante può senz'altro provare a incidere positivamente almeno sull'ultima parte della filiera, quella legata all'imballaggio.
Vetro, plastica o il classico cartone: qual è il packaging più "verde"? In base a un'inchiesta condotta dalla rivista americana Slate, la preferenza dovrebbe ricadere sulle bottiglie di vetro. Pur essendo, è innegabile, un materiale molto pesante (incide per un terzo sul peso totale del carico di latte, contro il 5% della plastica e il 7% del cartone), è infatti completamente riutilizzabile. E poiché a influire maggiormente sull'impronta ecologica del latte è l'estrazione delle materie prime per l'imballaggio, la bottiglia di vetro - se riusata - consuma nel corso della sua "vita" circa metà dell'energia impiegata per produrre un imballo di plastica o di cartone. Al secondo posto troviamo i contenitori di plastica, purché ovviamente biodegradabile. In Inghilterra, patria di grandi bevitori di latte, è stata brevettata una bottiglia completamente "eco-friendly", la GreenBottle: l'interno è realizzato con amido di mais, che può essere gettato insieme all'umido, e all'esterno è avvolta da un involucro di cartone riciclabile insieme alla carta. E il classico cartone del latte? Per quanto molto leggero - e diffusissimo, perché impermeabile alle radiazioni ultraviolette, a differenza dei contenitori trasparenti - ha una filiera produttiva che richiede il consumo di molta acqua, cellulosa, combustibili fossili e sostanze chimiche.
La soluzione più attenta all'ambiente sarebbe dunque prediligere le bottiglie di vetro, restituendo i vuoti nei negozi che li accettano oppure riempiendole ai distributori di latte a chilometro zero ormai diffusi in tutta Italia (consulta la mappa delle stazioni di rifornimento di latte più vicine a casa tua). Attenzione, però: trattandosi di latte crudo, non trattato termicamente a differenza del latte fresco pastorizzato che si trova nei banchi frigo dei supermercati, si conserva meno a lungo (e mai a una temperatura superiore ai 4 °C) e può ospitare, in alcuni casi, batteri patogeni che di norma non dovrebbero essere presenti in questo alimento, come salmonelle o batteri del genere Escherichia. Per queste ragioni nel 2008, in via precauzionale, il Ministero della Salute ha emanato un'ordinanza che impone ai distributori di latte crudo di esporre la scritta "da consumarsi dopo bollitura" perché "il trattamento termico è l'unico modo per distruggere i microrganismi patogeni".
E voi, che tipo di imballo preferite? Avete mai provato il latte a chilometro zero? Mandateci la vostra testimonianza!