Le attività umane "stanno cambiando la traiettoria globale dell'evoluzione e distruggendo le condizioni che rendono possibile la vita umana": l'inquietante avvertimento arriva da uno studio pubblicato su PNAS che ha analizzato in dettaglio i ritmi della sesta estinzione di massa, quella alla quale stiamo assistendo "da dentro", e scoperto che il nostro intervento la sta accelerando, "mutilando", come si legge nel titolo, interi rami dell'albero della vita. E i danni che abbiamo causato negli ultimi 500 anni sono avvenuti a un ritmo 35 volte superiore a quello naturale.
Accelerazione letale. Lo studio si è concentrato sul ritmo di estinzione degli animali a livello di genere, invece che a livello di specie come siamo abituati: la scomparsa di un genere comporta l'estinzione di un numero anche altissimo di specie – decine, centinaia, in casi estremi anche migliaia. È normale che anche i generi si estinguano, perché la scomparsa di vecchie specie e la comparsa di nuove sono eventi naturali vecchi quanto la vita sul Pianeta.
Quello che non è il normale è il ritmo che abbiamo impresso, con le nostre attività, alla prima metà dell'equazione. Lo studio confronta la cadenza delle estinzioni dal 1500 a oggi con quella dei precedenti 500 milioni di anni, e spiega anche che, negli ultimi 500 anni, siamo riusciti a far estinguere 73 diversi generi di vertebrati – un ritmo 35 volte superiore a quello del precedente mezzo miliardo di anni.
VENT'ANNI DECISIVI. In altre parole: senza l'intervento dell'uomo, questi 73 generi avrebbero avuto bisogno di 18.000 anni per estinguersi tutti, non solo 500. Lo studio aggiunge che altri lavori simili hanno registrato ritmi analoghi tra gli invertebrati, le piante e anche i funghi. E il futuro non è roseo: se nel 2100 tutti i generi che ora sono a rischio di estinzione saranno scomparsi, vorrà dire che il ritmo è aumentato ulteriormente, e che gli ultimi 300 anni di storia umana avranno causato estinzioni che, in condizioni naturali, avrebbero avuto bisogno di 106.000 anni per verificarsi.
E le cose potrebbero anche peggiorare: la scomparsa di un genere provoca conseguenze tangibili sull'equilibrio del suo ecosistema, con il rischio di portare altre specie sull'orlo dell'estinzione. «I prossimi vent'anni», dice lo studio, «saranno decisivi per il futuro della biodiversità e di Homo sapiens».