Le zanzare pungono solo di notte? Forse poteva valere un tempo per l'Italia, quando la specie dominante era la zanzara comune (Culex pipiens), che è attiva al tramonto e nelle ore serali. Oggi, però, la varietà di specie di zanzara che infesta le nostre giornate è così tanta che c'è una specie per ogni ora del giorno – un problema che in altre parti del mondo conoscono molto bene da sempre, e una situazione che sta peggiorando sempre di più con il passare degli anni, con zanzare solitamente diurne che rimangono attive anche nelle ore notturne.
Ce lo meritiamo... E la colpa, secondo un nuovo studio pubblicato dall'American Journal of Tropical Medicine and Hygiene, è ovviamente nostra, e in particolare dell'inquinamento luminoso prodotto dalle nostre attività.
Lo studio, condotto da un team dell'università di Notre Dame, nell'Indiana, si è concentrato in particolare su una specie, Aedes aegypti, la zanzara della febbre gialla, che è diffusa nelle fasce tropicali del nostro pianeta e il cui areale si sta pian piano espandendo anche a quelle subtropicali e temperate; A. aegypti, che è attiva durante il giorno, è particolarmente pericolosa per l'uomo, perché è un vettore di malattie anche molto gravi come, appunto, la febbre gialla, la dengue o la zika. Per studiarne le reazioni alla luce artificiale, il team ha incaricato un suo membro, Samuel S.C. Rund, di fungere da cavia, e farsi pungere dalla zanzara in condizioni di luminosità controllata: di giorno, di notte al buio e di notte sotto una luce artificiale.
I risultati del fastidioso esperimento hanno dimostrato che A. aegypti preferisce il giorno, come già sapevamo, ma che durante la notte le zanzare esposte a luce artificiale hanno circa il doppio della probabilità di pungere rispetto a quelle che stanno al buio completo: per la precisione, il 29% delle femmine (le uniche che pungono) liberate di notte ne hanno approfittato per nutrirsi, percentuale salita al 59% tra le femmine liberate sempre di notte, ma sotto luce artificiale.
Più luce, più zanzare. Il fatto che questi animali vivano e si riproducano spesso nei pressi delle abitazioni, dove la presenza di luce artificiale è maggiore rispetto alle aree naturali, significa che hanno un'alta probabilità di incrementare le ore dedicate alla caccia e di, per così dire, andare a letto più tardi: in questo modo aumenta anche il rischio che un essere umano venga punto e ne subisca le conseguenze.
«È una scoperta importante su un fattore che viene spesso ignorato dagli epidemiologi quando fanno previsioni sui tassi di infezione da queste malattie, e dovrebbe invece essere tenuto in grande considerazione», secondo Giles Duffield, uno degli autori dello studio.