Gli uccelli costruiscono i colori delle penne con due diversi metodi. Uno è dovuto ai pigmenti, e si basa su “veri” colori: il rosso, l’arancione eccetera sono appunto molecole colorate. L’altro sfrutta invece un principio fisico, quello dell’assorbimento strutturale della luce da parte delle penne: visto che la luce è “dispersa” e in parte assorbita, si arriva a un colore scuro o cangiante secondo l’angolo di osservazione - i verdi e gli azzurri hanno spesso questa origine.
Eleganza raffinata. Ma il nero che vantano alcuni uccelli del paradiso sembrava così perfetto da meritare uno studio a parte: la ricerca è stata effettuata da alcuni biologi statunitensi, che hanno pubblicato il lavoro sulla rivista Nature Communications (qui l’articolo in inglese). Hanno scoperto che la struttura delle penne di alcune specie di uccelli del paradiso, come l’astrapia della principessa Stefania (Astrapia stephaniae), la paradisea dalle dodici penne (Seleucidis melanoleucus), l'uccello fucile di Victoria (Ptiloris paradiseus) e altri, è molto particolare.
Penne assorbenti. Osservate al microscopio elettronico, le penne sono estremamente frastagliate,e hanno quasi una struttura frattale. Secondo gli autori “assomigliano a barriere coralline, spazzole o alberi con tantissime foglie”. I risultato di questa superficie così frastagliata è che la luce, continuamente rimbalzata tra le microstrutture, è alla fine assorbita dalle penne. Si crea così un nero quasi assoluto, che gli occhi fanno fatica a mettere a fuoco perché non ci sono ombre o punti di riferimento: le penne assorbono il 99,95% della luce incidente.
Secondo i ricercatori, questo nero quasi assoluto (che non è molto diverso dal vantablack inventato dall'uomo) serve a mettere in risalto le altri parti del piumaggio, che sono invece colorate e risultano in questo modo più brillanti.
Come nasce una specie. La struttura delle penne è stata usata anche in un altro studio di ornitologia, pubblicato sulla rivista Proceedings of the national academy of sciences (qui il riassunto, in inglese). In questo caso l’argomento è l’evoluzione di una nuova specie, nata come ibrido di due uccelli differenti: un fenomeno piuttosto diffuso nelle piante, ma molto raro negli animali, perché di solito gli ibridi non sono fertili e non riescono quindi a creare una popolazione che può essere descritta come specie autonoma.
Quando due specie si accoppiano. La specie chiamata manachino capodorato (Lepidothrix vilasboasi), scoperta nel 1959 e mai più rivista fino al 2002, è risultata essere un ibrido tra il manachino caponiveo (Lepidothrix nattereri) e il manachino capopale (Lepidothrix iris). Le analisi genetiche hanno rivelato che l’80% del dna della nuova specie proviene dal capopale e il resto dal caponiveo.
I nomi degli uccellini fanno capire che ciò che li distingue è il colore della cresta sul capo: le due specie “genitrici” hanno un vertice brillante e iridescente, opale e nìveo, facile da vedere nel folto della foresta. Nel manachino capodorato la struttura delle penne è a metà strada tra quella delle altre due: il colore non è così evidente e nel tempo il capo si è colorato di giallo (dorato).
Isolati! Come si sia arrivati a una specie autonoma partendo da altre due è complesso, ma secondo i ricercatori il fenomeno è avvenuto recentemente (in termini evolutivi), circa 180.000 anni fa. Dopo quel periodo, le ere glaciali frammentarono la foresta e la formazione di grandi fiumi isolò la nuova popolazione di ibridi dalle specie da cui era derivata.
I ricercatori fanno notare come in natura esistano molti ibridi, ma che è estremamente raro che divengano specie distinte: per questo il manachino è un animale molto speciale.