Finalmente una buona notizia. La Corte di Giustizia dell'Onu all'Aja ha imposto uno stop alla caccia delle balene per motivi scientifici portata avanti dal Giappone.
Il tribunale delle Nazioni Unite ha respinto la tesi giapponese che mascherava la caccia delle balene nell'Antartide con fini scientifici difficilmente argomentabili: la produzione scientifica del programma di caccia è stata modesta in confronto con il numero di balene uccise. La sentenza della corte ha risolto il contenzioso sollevato dall'Australia che aveva citato il Giappone in giudizio chiedendo una pronuncia sulla caccia alle balene ritenuta "mera attività commerciale".
Il programma di ricerca giapponese JARPA II è in corso dal 2005 e ha provocato l'uccisione di circa 3.600 balenottere minori, mentre la produzione scientifica ad oggi è molto limitata.
Il Giappone ha firmato una moratoria del 1986 sulla caccia alle balene, ma ha continuato a cacciare fino a 850 balenottere minori all'anno nelle acque gelide dell'Oceano Meridionale appellandosi a un trattato del 1946 che permette di uccidere questi mammiferi per la ricerca.
Come è ormai noto, la carne di balena è molto popolare tra i giapponesi che la considerano una prelibatezza, e i fini scientifici della caccia sono soltanto un pretesto.
Per la Corte internazionale di Giustizia dell'Aja il Giappone deve revocare i permessi, le autorizzazioni o le licenze già rilasciate nell'ambito del piano sulla ricerca e non concedere eventuali nuove licenze nell'ambito dello stesso programma.
«Invece di cercare di proseguire la caccia modificando l’attuale “ricerca” il Giappone deve unirsi ai programmi di ricerca scientifica internazionali in Antartide per studiare le balene e l’ambiente e sostenere la creazione di una rete di aree protette nell’Oceano Antartico per proteggere l’intero ecosistema» ha auspicato Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia.