Se siete fan dei film d'animazione vi ricorderete certamente di Balto, il cane che "non è un cane, non è un lupo, sa soltanto quello che non è". Protagonista dell'omonimo cartone animato uscito nel 1995, Balto è in realtà famoso soprattutto per un altro motivo: la Corsa del siero, l'attraversamento dell'Alaska da parte di una muta di cani da slitta che dovevano portare una scorta di medicine antidifterite nella città di Nome.
Balto è morto nel 1933, e da allora riposa, perfettamente imbalsamato, nel Cleveland Museum of Natural History. Ed è qui che un team dello Zoonomia Project (un progetto internazionale di sequenziamento del genoma di 240 specie di mammiferi) si è recato per procurarsi un piccolo campione organico di Balto, che è stato usato per ricostruire il suo genoma, e smentire alcuni luoghi comuni su di lui. I risultati dell'analisi sono stati pubblicati su Science.
La Corsa al siero. Balto fu in realtà solo uno dei 150 cani da slitta coinvolti nella corsa del siero, che partirono da Anchorage in direzione Nome, dove si era acceso il primo focolaio di un'epidemia di difterite. Il problema è che era pieno inverno: il porto di Nome era bloccato dal ghiaccio, che congelò anche uno dei motori dell'unico aereo a disposizione. Si decise quindi per la staffetta di cani, e Balto si ritrovò alla guida della muta che percorse l'ultimo tratto di strada, e si beccò quindi tutti gli onori.
In totale, il siero viaggiò per oltre 1.000 km, che i cani percorsero in sei giorni, dal 27 gennaio al 1 febbraio 1925, in condizioni ambientali tremende: le temperature scendevano spesso sotto i -20 °C, e la situazione era peggiorata dai forti venti che spazzavano l'Alaska. Forse per via di quest'impresa sovrumana, si cominciò a spargere la voce che Balto non era un cane, ma un incrocio tra un cane e un lupo.
Un cane speciale. L'analisi del genoma di Balto, effettuata a partire da un campione prelevato dall'esemplare tassidermizzato, ha però dimostrato che non è vero: Balto era un cane. E non era un husky siberiano di razza pura, come sosteneva chi l'aveva allevato: il suo Dna contiene infatti tracce dei cani da slitta dell'Alaska e della Groenlandia, e anche un po' di mastino tibetano.
Proprio questa varietà, secondo gli autori dello studio, lo aiutò a sopravvivere nel clima estremo dell'Alaska: era più piccolo dei moderni husky siberiani, aveva un pelo a doppio strato che lo isolava con efficacia, la pelle più spessa e la capacità di digerire l'amido, che è carente nei lupi.
Il fatto che sia stato possibile ricostruire con questa precisione il genoma di un animale morto un secolo fa è molto promettente: nei musei di tutto il mondo ci sono milioni di esemplari simili, che aspettano solo di essere studiati.