È sempre più difficile tenere traccia di tutti gli effetti che il riscaldamento globale sta avendo non solo sul clima ma anche sulla biodiversità del pianeta, ma uno di quelli ai quali stiamo rivolgendo un'attenzione sempre crescente riguarda non un'estinzione (non ancora, almeno), ma una migrazione di massa.
acque troppo calde. È quella delle specie marine tropicali, che vivono nelle acque più calde del pianeta e che, negli ultimi decenni, le stanno abbandonando sempre più spesso per andare verso latitudini maggiori in cerca di climi più miti. Uno studio di marzo pubblicato su PNAS ha di recente confermato questo trend, e ora gli autori hanno anche pubblicato un pezzo su The Conversation che riassume i risultati del loro lavoro e mette in guardia contro gli effetti a lungo termine di questo "travaso" di biodiversità.
Il riassunto estremamente breve dello studio è questo: sempre più specie tropicali si stanno spostando verso i poli perché le acque dove abitavano sono diventate troppo calde per la loro sopravvivenza. Il trend è evidente guardando agli ultimi 60 anni, come potete vedere nel grafico qui sopra: con il passare dei decenni c'è stato un crollo quantitativo delle specie marine che vivono intorno all'Equatore, e una corrispondente crescita a latitudini più alte.
In cerca del fresco. Lo stesso team che ha condotto lo studio aveva previsto un trend simile già cinque anni fa, e ora le osservazioni sul campo hanno confermato i loro sospetti: le aree oceaniche più ricche di biodiversità si stanno spostando verso nord e verso sud, lasciando la fascia equatoriale (relativamente) spopolata.
Sempre secondo il team di ricerca, non è la prima volta che sul nostro pianeta si verifica una migrazione di massa di questo tipo. Circa 250 milioni di anni fa, alla fine del Permiano, un aumento delle temperature globali di circa 10 °C spinse le specie tropicali a cercare refrigerio in acque più fredde: il risultato fu l'estinzione del 90% delle specie marine sul pianeta. Questo perché l'arrivo di nuove specie comporta sempre uno stravolgimento degli equilibri ecologici: nuovi predatori entrano nella catena trofica, le specie più invasive rischiano di soppiantare quelle locali, fino ad arrivare, nei casi più gravi, a un collasso generalizzato dell'ecosistema.
la fuga del tonno. Collasso che in certi casi può creare problemi anche a noi esseri umani: un esempio molto facile è quello del tonno, dalla cui pesca dipendono intere comunità che potrebbero trovarsi all'improvviso senza la loro principale fonte di sostentamento, che è scappata più a nord in cerca del fresco.
Per quanto riguarda le soluzioni a questo problema, c'è una novità importante: 41 Paesi si sono riuniti nella Global Ocean Alliance, che punta a trasformare il 30% degli oceani in aree protette entro il 2030 (al momento siamo al 2,7%).