L'estinzione degli impollinatori, che qualche anno fa era solo la bee-pocalypse, l'apocalisse delle api, e che si è ora allargata a comprendere tutti quegli insetti (e non solo insetti) che contribuiscono a muovere il polline da una pianta all'altra, è una delle catastrofi ambientali più discusse anche in questi tempi vagamente apocalittici. Anche perché è una delle più imminenti: uno studio del 2019 diceva che oltre il 40% di tutti gli insetti del mondo sono a rischio estinzione, e che il ritmo a cui stanno morendo è otto volte più rapido di quello di mammiferi e uccelli.
Muoviamoci. Sappiamo anche che la scomparsa degli impollinatori sarebbe una tragedia anche per noi umani, non solo per gli ecosistemi. E ora un nuovo studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution mette insieme per la prima volta tutto quello che sappiamo sull'argomento (quali sono i fattori che stanno causando l'estinzione di massa, quali piante verranno colpite, gli effetti sulla nostra economia…) in un "indice di rischio" planetario la cui morale è semplice: dobbiamo muoverci prima che sia troppo tardi.
Lo studio è il frutto del lavoro di un team internazionale composto da 21 scienziati che, da tutto il mondo, hanno lavorato in concerto per individuare le cause e gli effetti dell'estinzione degli impollinatori, insetti e non solo: api, vespe, farfalle, ma anche mammiferi come i pipistrelli e uccelli come i colibrì.
Una vasta gamma di animali che contribuiscono a spargere il polline, e che sono fondamentali per la riproduzione del 75% di tutti i raccolti e le piante da fiore del mondo: una loro diminuzione numerica, per non parlare della scomparsa, avrebbe conseguenze devastanti sugli ecosistemi e quindi anche su noi esseri umani, che degli ecosistemi siamo parte integrante.
Quali sono i motivi di questo declino? Le tre cause principali sono, in ordine crescente di gravità, l'uso di pesticidi, il modo in cui usiamo il suolo (per esempio il fatto che tendiamo a prediligere le monocolture) e, al primo posto, la distruzione dell'habitat; l'aumento delle temperature globali dovuto all'attività umana arriva "solo" al quarto posto, ma gli autori dello studio spiegano che i dati a riguardo sono ancora limitati, e ulteriori studi potrebbero cambiare la sua posizione in "classifica".
Il declino degli impollinatori si accompagna ad altre questioni squisitamente umane: per esempio il fatto che negli ultimi 50 anni i cibi che mangiamo e che dipendono dagli impollinatori sono aumentati del 300%, arrivando oggi a muovere un mercato globale che vale 577 miliardi di dollari.
Meno impollinatori significa anche, in futuro, meno raccolti di certi tipi di cibo, che verrebbero sostituiti da prodotti più sicuri, come i cereali. Oltre ai danni economici, lo studio mette in guardia anche contro un'altra conseguenza dell'estinzione degli impollinatori e del conseguente impoverimento degli ecosistemi: quelle che chiamano "perdite estetiche e culturali" - api, farfalle, pipistrelli, sono stati per millenni parte integrante della nostra vita, e la loro scomparsa potrebbe avere effetti negativi anche sulla nostra salute mentale, non solo su quella fisica.
Corsa contro il tempo. Lo studio si conclude mettendo in guardia contro un ultimo problema: la maggior parte dei dati a nostra disposizione sull'estinzione degli impollinatori sono relativi a regioni ricche del mondo, soprattutto Europa e Stati Uniti, mentre sappiamo ancora troppo poco su come vanno le cose nel resto del pianeta (quello che lo studio chiama "Global South", il "Sud globale"). È importante scoprirlo il prima possibile, sapendo che con ogni probabilità la risposta non ci piacerà.